IMPRUNETA – L'auto è comparsa in tarda mattinata di oggi, giovedì 14 settembre. Un'utilitaria grigia. Gli occupanti hanno appoggiato sul suo cruscotto un cartello eloquente: "No prostitute Impruneta".
NEL CUORE DELLA PROSTITUZIONE NEL CHIANTI
Siamo lungo la via Chiantigiana, fra i Falciani e il Ferrone, poco prima del bivio per Impruneta (via di Cappello).
Qui è il vero e proprio "epicentro" della prostituzione nel territorio chiantigiano: ogni giono almeno sei-sette ragazze, molto spesso di origine nigeriana, raggiungono questa zona per vendersi ai clienti. Lungo la strada principale o sul ponte della strada che poi sale verso Luiano e Mercatale.
Hanno spazi nel bosco, vecchi materassi buttati qua e là. Molto spesso salgono sulle auto con i clienti. Che poi le riportano a domicilio.
L'AUTO – Lungo la via Chiantigiana verso il Ferrone
Tutto intorno rifiuti di ogni genere: dei pasti e dei… rapporti consumati così, in fretta, in mezzo alle piante o in qualche casale diroccato nei dintorni.
Una situazione che le amministrazioni comunali di San Casciano, Impruneta e Greve in Chianti hanno cercato di arginare con una ordinanza "punisci clienti".
Tutto inutile, il fenomeno non è stato neanche scalfito. Da qui la protesta singola: siamo andati a vedere di cosa si trattasse.
LA PROTESTA DI ROSA E MICHELE
Quello che abbiamo trovato ci ha sorpreso. Siamo di fronte a una coppia, Rosa e il suo compagno Michele, che da ieri hanno deciso che era arrivato il momento di dire basta. E dirlo pubblicamente, piazzandosi lungo la strada. Come loro.
Ci chiedono solo di non fotografarli in volto. E ovviamente acconsentiamo. Ci affacciamo al finestrino. Dentro l'auto fa caldo. Il cruscotto è oscurato dal cartello: dalla parte dei campi un foulard mitiga il sole sul vetro.
Vivono a pochi metri, qua sopra. Rosa ha con sé una rivista per passare un po' il tempo. Michele si guarda attorno un po' preoccupato. Anche perché non si sa se le ragazze "lavorano" da sole o hanno un protettore.
Mentre stiamo parlando sfrecciano auto e tir. Una Fiat Seicento bianca, con un uomo a bordo, passa più volte. Si ferma davanti all'unica ragazza rimasta, a una cinquantina di metri. Parlano dal finestrino.
Suggeriamo a Rosa e Michele di avvisare i carabinieri e prendere il numero di targa. Non si sa mai.
Poi ci facciamo raccontare la storia: "Di giorno abbiamo deciso di vivere qua. Siamo stremati e disperati, è la nostra ultima forma di protesta che avevamo a disposizione".
Anche perché, dice Rosa, "ho parlato per mesi con polizia locale, carabinieri, sindaco, nessuno ha fatto niente. Ho tutto scritto e documentato".
"Non entrano nella nostra proprietà – prosegue Rosa – ma sono qua da oltre 10 anni, mia madre è morta 12 anni fa e già c'erano. Sono l'evidenza di un degrado morale (pensate a quando invito le persone a casa mia) e, per noi, anche un danno economico che non riusciamo più a sostenere".
Sì perché, dice Rosa concludendo, "si abbassa il valore della casa, che abbiamo cercato di vendere invano. Stiamo qui a oltranza: è un atto di disperazione".
di Matteo Pucci
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