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giovedì 25 Aprile 2024
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    ChiantiBanca, un anno fa le dimissioni di mezzo cda e del direttore generale

    Fu l'inizio di 365 giorni incredibili, roventi, in cui l'istituto di credito ha vissuto sulle... "montagne russe"

    SAN CASCIANO – Un anno. Trecentossessantacinque giorni. Era il 9 marzo 2017 quando dal quartier generale di ChiantiBanca di San Casciano, sotto ispezione di Banca d'Italia da alcuni mesi, arrivò la notizia. Un fulmine, anche se non si può dire a ciel sereno.

     

    Dimissioni in blocco del "nucleo" storico che aveva portato l'istituto di credito prima a nascere dalla fusione di Banca del Chianti Fiorentino e Bcc di Monteriggioni. Poi a incorporare il Credito Cooperativo Fiorentino. E, proprio l'anno precedente, le Bcc di Prato e Pistoia.

     

    Per una banca ormai proiettata su scala regionale, da Pisa e Livorno fino ad Arezzo e Montalcino. Che mirava a diventare il primo punto di riferimento toscano delle famiglie e della piccola e media impresa. Con saldi legami con tutti i territori di insediamento.

     

    Via il direttore generale Andrea Bianchi, per quasi 20 anni alla guida della banca. Via mezzo consiglio d'amministrazione: gli "storici" vicepresidenti Stefano Mecocci e Claudio Corsi, Aldemaro Becattini, Mauro Fusi, Leonardo Viciani.

     

     

    Troppo pesante il fardello dei crediti deteriorati secondo gli ispettori di Bankitalia, che in pratica li accompagnarono alla porta al termine di un'ispezione durissima. Deteriorati che poi avrebbero portato all'approvazione di un bilancio 2016 con oltre 90 milioni di euro di perdita.

     

    Iniziò da quel pomeriggio plumbeo, nella direzione generale di piazza Arti e Mestieri, un anno vissuto pericolosamente, senza fiato, con due assemblee dei soci, la "defenestrazione" del presidente Lorenzo Bini Smaghi, la decisione finale del dicembre scorso di chiudere la porta in faccia a Cassa Centrale e confluire invece nella holding romana, in Iccrea.

     

    Quel 9 marzo, fra sguardi smarriti e clima da fine di un'era, iniziarono i 365 giorni più lunghi di quella che aveva dichiarato di voler diventare la banca di riferimento della Toscana.

     

    Che aveva percorso l'idea della "way out" dal mondo delle Bcc (come poi ha invece fatto Banca Cambiano), che nel dicembre 2016 aveva indicato (durante un'assemblea straordinaria dentro lo stadio comunale sancascianese) Trento (ovvero Cassa Centrale) come la holding in cui confluire in seguito alla riforma delle banche di credito cooperativo.

     

    Fu solo l'inizio di mesi di tensioni, scontri roventi, movimenti tellurici. Con il maxi detonatore dell'assemblea dei soci all'Obihall di Firenze del 14 maggio 2017, con la sconfitta della lista a sostegno di Bini Smaghi e la vittoria di quella riconducibile al "mondo" della Federazione toscana delle Bcc. Che poi avrebbe visto insediarsi un nuovo cda, e l'elezione come presidente di Cristiano Iacopozzi.

     

     

    Un'assemblea drammatica quella dell'Obihall, nei contenuti e nei toni, che poi avrebbe dato adito a successivi ricorsi, contestazioni, polemiche a non finire. Che arrivava pochi giorni dopo che il cda in carica, guidato da Bini Smaghi, aveva inviato in Procura della Repubblica la relazione del presidente dell'organismo di vigilanza.

     

    Neanche un mese infatti e… la situazione tornò a farsi davvero pesantissima, con la notizia degli avvisi di garanzia a 15 ex vertici della banca (fra cui i dimissionari di marzo), con le accuse di falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza.

     

    Per un'inchiesta condotta dal pm Luca Turco e della quale ad oggi non si conoscono gli sviluppi. Inchiesta che ha visto le Fiamme Gialle perquisire sia i domicili che tornare altre volte presso l'istituto di credito, a San Casciano.

     

     

    Così come non si conoscono ancora se ci sono state (e nel caso di quale entità) sanzioni da parte di Banca d'Italia a coloro che si dimisero quel 9 marzo.

     

    L'uscita di scena di Bini Smaghi, guardata con molto stupore dall'esterno, non sorprese invece più di tanto gli osservatori più attenti ed esperti di "cose di credito cooperativo".

     

    Troppo forti i legami della lista avversaria con l'universo dei soci della banca, ovvero coloro che alla fine si misero in fila per votare in quel caldissimo 14 maggio all'Obihall.

     

    Poi, come detto, altri mesi vissuti a perdifiato, con un'estate in cui si parlò della banca anche a causa del licenziamento di alcuni dipendenti della direzione generale.

     

    Fino al ritorno in prima pagina, nell'ottobre scorso, con la decisione del cda di "spingere" la banca verso Roma. A neanche un anno dall'assemblea che aveva invece visto l'ex dg Andrea Bianchi (e tutto il cda allora in carica) indicare in Trento la soluzione ideale, che avrebbe tenuto insieme "cooperazione e sviluppo".

     

    Ne seguì una breve (e intensissima) campagna elettorale fra i "blocchi" Roma Vs Trento (condita dalle minacce di azioni legali da parte di Cassa Centrale, di cui ad oggi non si hanno notizie) e la schiacciante vittoria, il 10 dicembre 2017, dell'opzione-Roma nell'assemblea del Mandela Forum.

     

     

    Da allora i riflettori si sono abbassati. Certamente il non aver più un presidente come Bini Smaghi ha influito.

     

    La banca procede nel solco della direzione di Mauro Focardi Olmi e della presidenza Iacopozzi. Molto diversa dagli anni, per così dire, più "rampanti". Parola d'ordine, stabilità.

     

    Insomma una linea più soft, più… Bcc vecchio stampo se si può dire in questo modo. Anche perché, come ha detto recentemente lo stesso Focardi Olmi in un'intervista al Corriere Imprese (il dorso del lunedì del Corriere Fiorentino), "la raccolta ha avuto un calo di 6-7 punti percentuali nel periodo in cui la banca era sotto pressione per i fatti di cronaca, ma nel secondo semestre dell'anno si è stabilizzata. A dire il vero non è neppure un mio obiettivo prioritario il recuperare tutto ciò che abbiamo ceduto".

    di Matteo Pucci

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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