Mascetti (Ugo Tognazzi), Sassaroli (Adolfo Celi), Perozzi (Philippe Noiret) e Necchi (Duilio Del Prete, poi Renzo Montagnani) purtroppo non torneranno più. E Melandri (Gastone Moschin), se farà di nuovo capolino nelle nostre contrade, sarà per una vacanza, per la nostalgia o per caso.
A Firenze e nel Chianti, però, non li dimenticheremo mai: i cinque sono gli "Amici miei" che, per sette anni, hanno imperversato dalle nostre parti con i loro scherzi, le loro zingarate, la loro voglia di vivere.
Cosa ci facevano questi tragicomici goliardi nel Chianti? Fu Mario Monicelli, regista dei primi due film (il terzo non è girato nel Chianti), il quale, dopo aver mutuato l'idea da Pietro Germi e averla trasferita da Bologna a Firenze, scelse come "terra di conquista" degli "amici miei" le colline che dalle rive dell'Arno introducono al Chianti.
La filosofia e la definizione stessa della zingarata si precisano proprio in questi paesaggi. Cominciamo dal primo "Amici miei".
Siamo nel 1975 e l'inno ufficiale del gruppo, l'aria "Bella figlia dell'amore, schiavo son dei vezzi tuoi", esordisce lungo la via Imprunetana per Pozzolatico.
Di fronte alla cinquecentesca Villa Parenti, nella frazione di Monte Oriolo, Mascetti vuole avvertire l'amante Titti che quel giorno non si potranno vedere.
Appena scorge il posto telefonico pubblico del locale ufficio postale, esclama: "Ferma, ferma, c'è un telefono!". Melandri in un primo momento inchioda la macchina, poi, ritornato in sè – "O che uno zingaro telefona?" -, prosegue per la discesa che oltre Monte Oriolo incontra la chiesa di Nizzano e sbocca, dopo la salita di San Carlo, nella piazza di Impruneta.
O almeno dovrebbe. Ma il Chianti di Monicelli è frutto di una fantasia anarchica e zuzzurellona o forse hanno semplicemente cambiato strada: li ritroviamo oltre Strada in Chianti, al bivio tra la Chiantigiana per Chiocchio e la deviazione a sinistra per Cintoia e La Panca, che Melandri imbocca. E Mascetti: "Ma dove vai?", "Ho svoltato a sinistra", "Ma che c'è a sinistra?", "So 'na sega. Lo zingaro, quando gli gira, gira".
Alla fine del film, poi, i cinque fanno credere a Righi (Bernard Blier), un pensionato cliente del bar di Necchi, di essere i componenti di una banda di trafficanti di droga in lotta con i Marsigliesi, con tanto di inseguimento "all'americana" condotto nei pressi di Firenze con un rapido passaggio notturno dal Ponte degli Scopeti al bivio con la Cassia, a bordo peraltro di una Oldsmobile del 1959 che Mascetti ha rimediato da un ortolano di Candeli (Bagno a Ripoli). Candeli, dove, a quanto ci risulta, un ortolano vero e proprio non c'è mai stato.
Il cerchio delle vicende quindi si apre e si chiude nel Chianti fiorentino e con esso si precisa definitivamente la filosofia della zingarata: "Il bello della zingarata è proprio questo: la libertà, l'estro, il desiderio. Come l'amore: nasce quando nasce e, quando non c'è più, è inutile insistere. Non c'è più".
In “Amici miei II” (1982), Mascetti si invaghisce di una contorsionista, con cui ha una lunga storia che si conclude grottescamente, lasciandolo in un mare di debiti. Si rivolge così allo strozzino Sabino Capogreco (Paolo Stoppa), il quale, mentre sta andando a mangiare insieme agli altri in una trattoria fuori porta, non intende rispettare l'impegno assunto con Mascetti di strappare le sue cambiali: Capogreco viene subito costretto a scendere dalla vettura. Poco male: ne approfitterà per andare d'intestino.
Teatro naturale della scena è il cancello d'ingresso della Villa Corsini, famiglia patrizia fiorentina originaria di Poggibonsi di stirpe duecentesca, in località Le Corti, ad un paio di chilometri da San Casciano in direzione Mercatale.
Lo strozzino si inoltra nel giardino e Necchi lo raggiunge di soppiatto alle spalle, impugnando un badile gli sottrae il prodotto dell'evacuazione e lo getta qualche metro più in là. Immediata inversione di marcia e via verso Firenze: un manifesto della Sagra del cencio di Mercatale occhieggia su un muro, rivelando allo spettatore attento un indizio sui luoghi dell'azione.
Un giorno di riprese in tutto, neanche il tempo di fermarsi in paese a prendere un caffè, ma a San Casciano ancora si ricordano del passaggio della troupe diretta alla villa, che, come conferma l’ex sindaco Fabrizio Bandinelli, allora giovanissimo, fu accompagnato da esclamazioni del tipo "C'è Tognazzi, c'è Tognazzi!", un po' come al giro d'Italia.
Forse qualcosa in più – su quanto si divertirono Monicelli e i suoi divi a girare quella scena dantesca e irriverente, sulle piccole manie dei più anziani (Paolo Stoppa che non beveva il caffè se a portarglielo non era l'ispettrice di produzione Milena Ricci), e sulla signorile professionalità dei protagonisti – avrebbe potuto dire il fattore di allora della villa, Danilo Mazzoni, che però ci ha lasciati poco dopo quella giornata memorabile.
A noi non resta che ringraziare Monicelli, Celi, Del Prete, Montagnani, Moschin, Noiret, Tognazzi, Blier, Stoppa e tutti gli altri per aver arricchito le contrade chiantigiane di arguzia, umanità e allegria, e le nostre terre per aver fatto al meglio la propria parte.
Post scriptum. Sfatiamo una leggenda che rimbalza da tempo sul web: la processione del Venerdì Santo di “Amici Miei II” non è quella di Grassina, ma una delle molte devozioni del genere che si tengono in Abruzzo.
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