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domenica 4 Giugno 2023
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    La comunicazione e la bulimia delle connessioni H24

    Dagli anni '80 in poi, il tema e l’importanza della comunicazione sono cresciuti in maniera esponenziale a tutti i livelli.

     

    Da sempre l’uomo ha avuto necessità di comunicare e lasciare un suo messaggio, basta pensare alle incisioni rupestri con scene di caccia. C’è dentro ognuno di noi la voglia di esprimere concetti, di manifestare la propria opinione, i propri gusti, che esterniamo in mille modi diversi senza che noi ce ne accorgiamo.

     

    Esistono, infatti, la comunicazione verbale e quella non verbale che si esprime nei nostri gesti, nei nostri comportamenti, con i nostri occhi e le nostre espressioni facciali. Fin da piccoli esprimiamo con i primi vagiti, il pianto e con i suoni gutturali, questa propensione innata.

     

    Crescendo i modi cambiano ma la necessità di farlo non diminuisce, anzi aumenta. Ricordo, ad esempio, quando durante l’adolescenza passavo ore intere al telefono (che con una prolunga portavo in camera mia – il cordless non esisteva ancora) … ancora non esisteva la tanto odiata TUT (tariffa urbana a tempo).

     

    All’epoca sognavamo la possibilità di essere sempre in contatto in mobilità con i nostri amici ma già allora c’era chi era preoccupato per il futuro sviluppo della comunicazione, infatti, negli anni Ottanta, Wright Morris disse: “Siamo sempre più nel mondo della comunicazione, ma siamo sempre meno in comunicazione”.

     

    Le tecnologie della comunicazione si sono sviluppate in maniera esponenziale da allora. Possiamo telefonare ovunque, spedire email, inviare messaggi, twittare, vederci e parlare attraverso Skype ovunque nel mondo, creare dei blog, comunicare i nostri stati d’animo tramite Facebook… mentre, all’epoca, i più fortunati e tecnologicamente avanzati, con i primi modem (che adesso a velocità sembrerebbero dei bradipi) si collegavano e intessevano le prime cyber amicizie sulle BBS.

     

    Era impensabile e fantascientifico avere tra le mani uno smartphone di soli 110 grammi di peso e delle dimensioni 12 cm per 5,5 che ti permettesse di collegarti con internet, di parlare, messaggiare, giocare a videogames, includere applicativi che i pc si sarebbero allora sognati.

     

    Buffo per me ripensare a tutto questo che l’ho vissuto e lo vivo tutt’ora inserito a pieno titolo nel vortice dell’evoluzione tecnologica.

     

    Adesso la nostra attenzione è sempre più attratta inevitabilmente dalla moltitudine di messaggi che ci scambiamo senza sosta e da quando i messaggi, tramite servizi come iMessagge o Whatsapp, passano da internet e quindi non vengono pagati come sms, siamo arrivati a quantità pazzesche.

     

    Questo ci consente di metterci in contatto rapidamente e facilmente con parenti e amici intorno al mondo ma guai a non rispondere subito (si vede anche quando hai guardato il messaggio…): l’interlocutore potrebbe entrare in paranoia chiedendosi come mai non hai risposto.

     

    Questa facilità, questa velocità e immediatezza comunicativa però ci pongono una prima questione importante: come decidiamo dove porre la nostra attenzione? Come troviamo il tempo per conversazioni di valore e per rallentare abbastanza da capire cosa abbiamo da dire? E’ necessario ogni messaggio o rischiamo di essere eccessivi? Può esistere un’invadenza nella vita altrui in questo modo?

     

    Un amico mi ha detto che non usa la messaggistica istantanea ma preferisce le email: a parer suo sono molto più discrete perchè puoi leggerle quando vuoi e rispondere prendendoti tutto il tempo necessario.

     

    Non ha tutti i torti: a chi non è capitato di rispondere a un messaggio a un destinatario sbagliato per la fretta o perchè affaccendato in altro? (Quanti amanti sono stati scoperti in questo modo così banale!!!).

     

    Con questo, non pensiate che sono un nostalgico dei vecchi tempi che vorrebbe che le lettere fossero scritte ancora a mano: sono anzi un amante della tecnologia, non mi separo mai dal mio smartphone, non leggo più libri cartacei (ok, potete storcere il naso) ma uso il tablet con gli ebook, non ho un’agenda ma uso quella del cellulare che si sincronizza automaticamente con tutti gli altri device ma, nonostante tutto questo, mi pongo delle domande.

     

    Queste tecnologie sono criticate da molti che le accusano di renderci estranei al mondo reale e a ciò che accade intorno a noi. E’ la conclusione a cui è arrivata Christine Rose, giornalista del Wall Street Journal in un suo ultimo articolo.

     

    Sembra infatti, che oggigiorno le persone sono sempre più connesse ai mondi virtuali, trascurando la vita reale e cita alcuni ultimi episodi di cronaca come ad esempio: “A fine settembre, su un treno affollato di San Francisco, un uomo ha sparato e ucciso Justin Valdez, uno studente ventenne. Il killer, con la pistola in mano, passò praticamente inosservato tra la folla, visto che tutti erano impegnati a guardare gli schermi dei propri smartphone. Non poco tempo fa, a Philadelphia, un uomo venne spinto sui binari della metropolitana e nessuno si accorse dell’accaduto se non un fotografo freelance che, invece di soccorrere l’uomo, scattò una serie di foto con il proprio dispositivo (poi vendute al New York Post)”.

     

    Ritengo, però, che la comunicazione digitale può avere un paradossale effetto avvicinante perchè ci connette attraverso vaste distanze geografiche e ci consente di comunicare innanzitutto con persone affini: non tutti coloro che sono nelle nostre vicinanze la pensano come noi a proposito di politica, religione, musica, educazione o altro, ma possiamo facilmente trovare dei gruppi in internet con cui confrontarsi anche se il rischio è di rimanere intrappolati in queste bolle virtuali.

     

    Se da un lato, le moderne tecnologie di comunicazione ci consentono una portata senza precedenti, che permette di ottenere nuove prospettive e sviluppare connessioni di ampio raggio dall’altro però, dobbiamo adoperarci perchè tali connessioni abbiano anche profondità, arrivando a creare consapevolmente degli spazi dove isolarci dal costante flusso d’informazioni per riflettere sul significato dei messaggi per cui abbiamo maggiore interesse.

     

    Difficile in questo contesto caotico e di abbondanza comunicativa capire e conoscere le fonti della notizia e la veridicità di quanto comunicato. Quante volte, anche i maggiori quotidiani e testate televisive, per la fretta di pubblicare la notizia in anteprima (la velocità è diventata fondamentale) non hanno verificato le fonti e hanno fatto una magra figura?

     

    Anche la persona qualunque può, a maggior ragione, cadere in questa trappola. Leggo continuamente su Facebook bufale colossali fatte passare per vere e commentate da tutti, l’ultima e anche divertente è la notizia di Paolo Brosio (ultimamente conosciuto per la sua devozione alla Madonna di Medjugorje) che si dice “la reincarnazione di San Giuseppe tanto forte sarebbe il suo legame con la Madonna”.

     

    Tantissimi hanno commentato il post (che riportava anche il link alla notizia): alcuni scandalizzati, altri sottolineando la stupidità credulona dei cristiani. Nessuno però aveva fatto lo sforzo di leggere per intero l’articolo linkato che al termine del testo riportava la parola “SATIRA”.

     

    Se questo è un caso eclatante, lo stesso avviene spessissimo sui maggiori quotidiani online, non solo sul nostro portale d’informazione così come su ogni pagina su internet in cui si possa lasciare un commento: si leggono opinioni che spesso non sono minimamente legate all’argomento scritto sopra oppure che denotano che chi ha lasciato il suo commento, non si è neppure preso la briga di leggere il testo fermandosi spesso solo al titolo o a poche righe dall’inizio.

     

    Sorrido ma mi chiedo: si deve comunicare a tutti costi la propria opinione (che a scanso di equivoci e commenti infuocati ritengo sempre importante e costruttiva nel confronto delle opinioni)?

     

    Non c’è forse una specie di voglia di apparire nella smania al commento a tutti i costi? Siamo proprio sicuri di aver compreso realmente quello che abbiamo letto o ascoltato alla tv?

     

    Non ci sono dubbi che siamo bombardati dalle notizie, da informazioni alle quali stiamo diventando impermeabili. Questo concetto fu espresso in maniera evocativa dal gruppo rock irlandese degli U2 durante il loro ZOOTV tour svoltosi tra il 1992 e il 1993 e nato da un’osservazione di Bono, il cantante del gruppo, avvenuta durante le trasmissioni televisive che rimandavano in diretta mondiale le immagini della Guerra del Golfo a cui però nessuno prestava più molta attenzione scambiandole ormai per immagini lontane e come se fossero al pari di un film di guerra, proprio per l’incapacità delle persone di assorbire e riflettere su una mole immane di informazioni.

     

    Mi chiedo se a questo punto non sia necessario, in certi momenti, prendersi dei “periodi sabbatici digitali” in cui disconnettersi dalla rete, dalla tv per riconquistare del tempo per riflettere su quanto appreso, per leggere libri e soprattutto per conversare faccia a faccia, tornando poi così al mondo della comunicazione istantanea con rinnovata energia.

     

    L’idea non è tanto quella di condannare la comunicazione tecnologica, quanto piuttosto aiutare le persone ad usarla consapevolmente, in maniera non eccessiva ma selettiva e intelligente, dove non è tanto importante quello che hai affermato con un tuo commento ma quanto sei cresciuto intellettivamente e come persona da questo processo comunicativo.

     

     

    P.S.: Faccio i miei più sentiti auguri al Gazzettino del Chianti, al suo direttore a tutta la redazione e a tutti i suoi lettori, per questo primo anno d’informazione sempre puntuale sul nostro territorio. Ringrazio il rirettore Matteo Pucci che fin dall’inizio mi ha chiesto di partecipare a quest’avventura, tenendo questa rubrica.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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