"Qualche tempo fa mi capitò di assistere ad una discussione di alcune ancor giovani mamme che disquisivano sul perchè molti ragazzi di oggi, pur non mancando di niente e potendo vivere, secondo loro, una vita tutto sommato priva di particolari problemi, non riescono a ritenersi soddisfatti; anzi, molti di essi si sentirebbero frustrati o addirittura demotivati, quasi che l'unico modo per riacquistare un certo ruolo sia dettato – mi parve di capire – dall’inevitabile ricorso ad atteggiamenti che spesso si rivelano dannosi per la loro stessa esistenza. Senza contare l’indifferenza, se non l’avversione, verso le cose del mondo, che spesso e volentieri rappresentano per loro stessi un ostacolo da abbattere con metodi non sempre ortodossi.
A parte il fatto che quel “tutto” si riferiva evidentemente agli aspetti materiali tipici dell’epoca che stiamo vivendo e che non è ovviamente generalizzabile, il tema da esse affrontato mi parve interessante… .
Il casuale incontro avvenne una mattina di maggio nel giardino del Bar del Piro, situato nella piazza principale del paese… .
Una delle giovani mamme disse: “Ma che avranno mai in testa questi nostri ragazzi! Facciamo il possibile per accontentarli in ogni loro richiesta e sembra quasi di fargli un dispiacere… vorremmo proprio che qualcuno ci potesse spiegare il perchè!”.
L’autore, interpellato in prima persona a rispondere al quesito così replicò: “Penso anch’io che la maggior parte dei ragazzi di oggi non avrebbero di che lamentarsi, considerando la facilità in cui hanno ottenuto ed ottengono quanto gli serve; ma tuttavia, e a loro attenuante – aggiunsi con una pausa un tantino ad effetto credo, paradossalmente, che quelli della mia generazione abbiano avuto, tra le tante in meno, una cosa in più che a loro è mancata.”
“Ma che dice! Che cosa mai sarebbe loro mancata rispetto ai ragazzi della sua età!?” – esclamarono in coro e con evidente stupore -.
“La miseria!” – replicai di botto -".
(tratto dal Prologo del libro di Leandro Giani La Vispa brigata degli “scugnizzi” d’Impruneta)
Leandro Giani, giornalista iscritto all’Albo nazionale dal 1956, è conosciuto all’Impruneta, oltre che per i suoi articoli su “La Nazione” anche per i numerosi libri che con maestria e grande acutezza riescono a descrivere e incorniciare la realtà che l’ha sempre circondato.
Durante le Benedizioni delle famiglie mi ha fatto dono della sua ultima fatica letteraria che ho incominciato a leggere subito. Sono rimasto fulminato dalle prime pagine, forse perchè quello che vi è scritto già girava nella mia mente: il problema dell’insoddisfazione dei giovani e la sua manifestazione.
L’autore del libro dà una sua risposta al disagio giovanile: la mancanza di miseria, perchè come spiega più avanti, "è scuola di vita, scuote le coscienze, sviluppa il pensiero di quanti ne sono coinvolti e cercano di liberarsene. In altre parole, li rende uomini prima del tempo, non demotivati ma protagonisti di se stessi. E soprattutto a gioire per qualsiasi “conquista”, anche la più piccola…".
Sicuramente, questa è una risposta ma forse non l’unica. Infatti, se ne parla ovunque, sui libri, riviste, giornali, tv ecc… e si pone l’accento sulle problematiche giovanili considerando sempre la mancanza di educazione, l’incapacità della scuola di andare incontro alle esigenze degli alunni, le famiglie che non svolgono più il loro compito ma che delegano altre strutture perchè incapaci per mancanza di tempo di educare i propri figli.
Alcuni pensano che l’apatia dei giovani sia dovuta ai moltissimi stimoli che ricevano continuamente e che li hanno provocato come una terribile indigestione dopo una grande abbuffata. Gli stimoli, però, sono sempre un qualcosa di positivo nella misura in cui sono incanalati, valutati, pensati, recepiti in maniera critica. Questo è quello che deve fare in genitore, un insegnante, un educatore: aiutare i ragazzi ad accogliere gli innumerevoli stimoli che la vita gli offre ma in maniera critica, imparando poco per volta a distinguere quelli negativi da quelli positivi, il bene dal male.
Fin dai primi anni di vita, i genitori accompagnano i propri figli alla scoperta del mondo aiutandoli a capire comportamenti corretti da mettere in atto in ogni circostanza. Lasciarli troppo liberi o essere troppo opprimenti, in questa fase, può essere dannoso. Faccio un esempio. Se si lascia arrampicare i ragazzi sulle colonne oppure li si lascia giocare a pallone sotto il portico della Chiesa non gli si insegna il rispetto per un luogo particolare e per i beni architettonici che sono un bene di tutti. Per queste cose ci sono i giochi nel parco.
Ricordo, ad esempio, mia madre che mi rimproverava quando strappavo una semplice foglia da una siepe. Mi diceva: “Stefano, pensa: se tutti quelli che passano di qui, strappassero anche solo una foglia, cosa rimarrebbe di questa siepe?”. I bambini sono intelligenti e se gli si spiegano le cose con calma, motivando le proprie osservazioni, sicuramente apprendono meglio che con mille rimproveri.
L’attenzione e il tempo impiegato a spiegare con amore e con calma le dinamiche dell’educazione civica sono pilastri che poi ci si portano appresso per tutta la vita. Purtroppo, spesso, i genitori sono i primi ad essere sempre più fragili, instabili, deboli, sofferenti. La realtà quotidiana ci mostra dinamiche familiari decisamente complesse e assai differenti da quelle appartenenti al passato; la società moderna ha generato nuove urgenze, bisogni e necessità legate talvolta alle aspirazioni dei componenti (che si concretizzano cioè a livello individuale e interpersonale) e che vanno a sconvolgere fortemente le fondamenta della relazionalità familiare (mi vengono, infatti, in mente esempi concreti di genitori, tutti ripiegati sui propri interessi e divertimenti personali, che non passano il loro tempo con i figli o il coniuge).
Assistiamo quindi a scenari multiformi, dove situazioni di crisi, dettate dall’incapacità di adattamento ai cambiamenti provocano squilibrio, instabilità, disorientamento.
Un altro aspetto da non sottovalutare, è quello del dolore. I genitori non possono tenere i ragazzi in mezzo a due cuscini: le difficoltà della vita, i dolori per la morte delle persone care sono eventi disastrosi se non sono stati preparati o se lasciati soli ad affrontarli.
Quante volte sento dire prima dei funerali che i nipoti non devono vedere i nonni defunti perchè è un dolore troppo grande. Ahimè, la morte è un evento tragico ma ineludibile della vita. Ricordiamoci sempre che il male del secolo, la depressione, nasce proprio dall’incapacità a saper affrontare la vita nei suoi aspetti negativi.
Come evidenziato dal sociologo Bauman, i nostri ragazzi vivono in una “società liquida”, ambito in cui i giovani tendono ad omologarsi secondo modelli culturali o di condotta che sono assorbiti in maniera passiva, spesso, dal mondo delle serie televisive, dei film, e che vengono accettati senza alcuno spirito critico o alcuna capacità riflessiva con la conseguente spersonalizzazione ed alienazione. I valori, in questo contesto, spariscono, sostituiti da modelli effimeri e temporanei che destabilizzano il processo di crescita.
Conseguente alla mancanza dei valori, vi è un altro pericolo dietro l’angolo: la mancanza di figure che abbiano, ai loro occhi, una certa autorità e autorevolezza. Le figure di riferimento, sono per loro tutto sullo stesso piano (il padre o la madre, con il cantante, il prete, il compagno di scuola turbolento, il bullo) o addirittura solo quelle negative e che hanno comportamenti controtendenza e che sono da ritenere valide perchè accattivanti.
Ci sarebbe da continuare per pagine e pagine (basta pensare a tutta la nuova e problematica questione dell’autolesionismo giovanile) ma in questo articolo volevo solo suggerire degli ambiti di riflessioni come dei campanelli dall’allarme di una situazione complessa ma certamente non disperata come spesso viene descritta. In quasi dieci anni di sacerdozio ho visto molti giovani e devo dire che hanno grandi capacità e qualità da mettere a frutto.
E’ anche vero, che sono molto facilitati quelli che hanno vicino genitori che li accompagnano e gli aiutano amorevolmente ad affrontare la loro vita standogli costantemente accanto. Credo che “il lavoro del genitore” sia il più difficile ma anche il più bello: peccato che non danno anche un manuale d’istruzioni!
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