In questa estate (voi l’avete vista, incontrata?) per niente calda e piuttosto anomala, i tg, i social network sono stati prodighi nel presentare filmati in cui molti personaggi conosciuti e non si sono tirati addosso una secchiata di acqua ghiacciata.
Per chi ancora non lo avesse capito non lo hanno fatto per il caldo estivo afoso ma per sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi in favore della SLA (sclerosi laterale amiotrofica), malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria.
Questa iniziativa che è diventata rapidamente una moda, un fenomeno di massa è conosciuta con il nome di “Ice Bucket Challenge”, che consiste nel gettarsi un secchio di acqua ghiacciata addosso e nominare altre persone per incoraggiarle a farlo, è nata in America ed è presto diventata virale nel resto del mondo.
Le regole sono semplici: entro 24 ore dalla nomination, i partecipanti devono registrare un video continuo e postarlo sui social network.
Si deve prima di tutto annunciare di accettare la sfida, nominare altri a fare lo stesso e poi versarsi il secchio di acqua ghiacciata sopra la testa.
Sembra che all’inizio le regole prevedessero che chi accettava la sfida doveva versare 10 dollari per la ricerca contro questa malattia, diversamente, non volendosi “bagnare” si doveva versare 100 dollari.
Altra versione è quella di contribuire comunque con una donazione, anche se sembra che molti invece hanno scelto per la versione in cui versarsi l’acqua addosso sostituisse la donazione.
Devo dire che è stato divertente vedere persone del calibro di Tim Cook (Ceo di Apple), Bill Gates (fondatore di Microsoft), Mark Zuckemberg (tra i fondatori e attuale presidente e amministratore delegato di Facebook), ecc… cimentarsi in questa iniziativa.
Vedere uomini da milioni di dollari a capo di imprese multimiliardarie che compiono un gesto così scherzoso, giocoso e gioioso è davvero esilarante. Sembrava una scena da campus universitario statunitense vista al cinema.
Purtroppo dietro a questo non c’è niente di scherzoso, giocoso e gioioso, anzi… Mi sono chiesto subito se questo potesse anche avvenire da noi, magari vedendo i grandi nomi della politica e dell’economia italiana impegnati in altrettanti secchiate d’acqua.
Con il tempo è successo: il precursore non poteva essere che Matteo Renzi, che sa sempre cavalcare l’onda delle mode e dei modi più moderni di veicolare se stesso. A seguire, come nel resto del mondo, personaggi dello spettacolo e gente comune.
Come ogni fenomeno di massa c’è chi si schiera favore e chi contro, chi fa polemica e chi ne esalta le capacita di sensibilizzazione. Ci sono state polemiche anche su chi come la Littizzetto ha pubblicato un video in cui sventolava 100 euro invitando altri a donare altrettanto: molti hanno contestato l’esiguità della somma di denaro per una come lei che guadagna tantissimo.
Altre polemiche sono state suscitate dai milioni di dollari raccolti negli Stati Uniti e purtroppo nella modesta somma di denaro raccolta in Italia.
Riguardo a questa iniziativa io mi sento di poter condividere alcuni pensieri.
Primo: quanti si sono chiesti e quanti hanno spiegato il motivo di gettarsi proprio una secchiata di acqua ghiacciata in testa? Gioco, scherzo, atto di coraggio, sfida, gesto goliardico estivo?
Non è forse importante anche il motivo per cui si fa una cosa oltre che la sua finalità? Mi sono chiesto, appunto, perchè proprio acqua ghiacciata (l’iniziativa si chiama infatti “Ice” – ghiaccio – Bucket Challenge) e sono arrivato a questa conclusione: la doccia ghiacciata inibisce per qualche decimo di secondo la sensibilità ed irrigidisce i nervi.
In questo modo, probabilmente, si voleva, nel pensiero dell’ideatore, riprodurre l’effetto, la sensazione, che i malati di Sla hanno sui propri nervi nel loro corpo e che vivono ogni minimo istante della loro vita.
Quindi non un atto di coraggio estivo divertente (moltissimi ridono facendolo) ma un modo di assaggiare e condividere per un brevissimo lasso di tempo quella sensazione spiacevolissima.
E qui veniamo al secondo punto. Chi vuol donare, chi si vuole bagnare, lo faccia liberamente. Nessuno è obbligato e può scegliere nella sua coscienza se e quanto dare o cosa fare. Forse però a tutti sarebbe richiesto di riflettere sulla fortuna che abbiamo a poterci muovere liberamente (comprendendo quanto sia bella la nostra vita anche in mezzo ai problemi, alle sofferenze, alle amarezze, alla scontentezza che spesso ci pervade) e che magari possiamo sentirci coinvolti anche visitando queste persone, facendogli capire che non sono sole (chi ne è affetto e le famiglie che li accudiscono amorevolmente).
Ne ho incontrati diversi nel mio ministero e guardare quegli occhi pieni di vita imprigionati in un corpo che non vuole rispondere non è facile, lo capisco, ma a volte una parola, una presenza, un po’ del nostro tempo possono fare molto.
Mi auguro ovviamente che i fondi che saranno raccolti possano essere cospicui e ben impiegati nella ricerca.
Si possono ovviamente organizzare anche altre forme di raccolta fondi: la generosità del popolo imprunetino, che non delude mai da questo punto di vista, ci dimostra che si può fare tanto anche organizzando una cena, come ha fatto il rione delle Sante Marie.
Era la seconda edizione, quindi precursori e generosi anche quando la moda non era scoppiata, facendo del bene senza secchiate ma con un semplice ma efficace “convivio informale”, come dicono loro.
Qualcosa di apparentemente nascosto ma dal grande valore come sottolineato dal Tweet di Papa Francesco, che nominato ha risposto così: “Un cristiano sa dare. La sua vita è piena di atti generosi – ma nascosti – verso il prossimo”.
Perchè, purtroppo, bisogna dirlo, spesso non ci si muove finchè la cosa non diventa evento, moda.
In Italia la Sla era tristemente balzata alle cronache intorno al 2013 perchè i malati e le loro famiglie protestavano, davanti alla sede del Ministero dell’Economia a Roma, per strappare al governo l’impegno per l’aumento del fondo per la non autosufficienza e per l’assistenza domiciliare ai disabili gravi e gravissimi.
Quelli a protestare erano i malati (uno morì dopo giorni di presidio a Roma), i loro familiari e i molti volontari delle onlus che si dedicano all’assistenza e alla cura di queste persone.
Quindi ben venga la nuova campagna ma muoviamoci anche prima delle iniziative, se pur lodevoli, importate sempre dall’America che diventano fatti di costume ed eventi virali.
Seguendo questo filone vorrei anche tirare in ballo il nostro attuale presidente del Consiglio, che prende sempre spunto da questi eventi per far parlare di sè (la sua campagna è modellata infatti su quella delpresidente Barack Obama, che ha usato i social network come veicolo delle proprie idee prima che altri ne capissero le potenzialità).
Bello il gesto e anche divertente vedere un politico di così alto grado fare un segno così semplice, goliardico (Obama per la cronaca non ha accettato la sfida), e che ce lo fa sentire più vicino a noi: l’ho apprezzato.
Vorrei però sottolineare che Renzi, oltre ad essere presidente del Consiglio (da quanto emerge da una breve ricerca che ho fatto) ha anche la delega alle pari opportunità e quindi, è colui che potrebbe e dovrebbe occuparsi anche di disabilità.
Se ai nomi delle grosse imprese è chiesto, in questi casi, cospicue donazioni (come avvenuto in America), chi legifera è nelle condizioni di veicolare i fondi necessari alla cura e all’assistenza di questi malati.
Con un’azione di governo, che compete semplicemente alle sue cariche, potrebbe sbloccare il “Piano d’azione biennale della disabilità” adottato nel 2013 che ha un carattere programmatico ma non delinea i finanziamenti per l’assistenza e la cura dei disabili gravi.
Si potrebbe anche stanziare dei fondi per la ricerca (l’Italia per questo è molto al di sotto della media europea), magari creando borse di studio per giovani laureati disoccupati, andando a colpire altre due piaghe della nostra nazione: la disoccupazione giovanile e la fuga dei cervelli.
Bello il gesto, ripeto, ma questa volta e in questo caso un assegno personale non basta visto che si è nella posizione di fare di più.
Non ci rimane che sperare che questa bella iniziativa di sensibilizzazione e di raccolta fondi non rimanga un “tormentone estivo” ma diventi un segno di speranza tangibile per questi fratelli malati.
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