Nel corso degli anni, abbiamo dovuto imparare delle parole nuove, come è inevitabile nell’evoluzione contemporanea della lingua. Alcune di queste parole si prospettano in dimensioni complesse, di livello storico.
La parola ludopatia, ad esempio, è ancora corretta dai sistemi automatici dei programmi di scrittura dei nostri pc, ma sappiamo bene le conseguenze di ciò che implica il concetto.
Ci si può ammalare anche del desiderio compulsivo del gioco d’azzardo e vivere una dipendenza dolorosissima (per sè stessi e le proprie famiglie) che azzera l’esistenza a quei momenti, totalmente privi di senso, in cui non si sta giocando.
Il fenomeno si è diffuso a livelli allarmanti e si può stimare ormai poco meno di un milione le persone che giocano travalicando quel che negli spot pubblicitari viene indicato (con un po’ di ipocrisia) il responsabilmente.
Le Asl sono dotate di servizi di sostegno e terapia, ma comunque a quel livello di ridotta capacità di aiuto per tutti dell’attuale regime di riduzione dei fondi; non certo per la mancanza di competenza degli operatori, che si trovano ormai a gestire delle vere e proprie emergenze nei numeri dei casi.
E quanto possiamo vedere con i nostri occhi presso le sale giochi non può farci capire quanto si prospetta nel gioco on line, con il giocatore che totalmente isolato nella sua stanza perde visibilità sociale, ma con essa neanche il suo disagio può essere notato ed attivare risposte; pensiamo inoltre che questa è la modalità più diffusa tra i i giovani.
Non ha più senso quella minima consolazione nel pensare che comunque con il gioco si sostenta il bilancio statale: la privatizzazione consegna la gestione a aziende che versano solo una parte degli introiti nelle casse dell’erario e (sempre per il virtuale) sono aziende che hanno la sede all’estero.
Quindi ben poco torna a quella collettività che però deve caricarsi sulle spalle la risposta alle ludopatie… .
Per non tacere dei collegamenti ormai accertati tra molte aspetti del gioco (legale e non) e le mafie, incluso il controllo da parte di queste ultime dei centri di usura a cui assai di sovente si rivolgono i giocatori che perdono.
Come affrontare il problema? Banale ma non scontato; si tratta di dare alle famiglie sostegno e possibilità di aiuto nei casi conclamati e nel formare delle generazioni che si affranchino, non solo dalla dipendenza, ma più radicalmente dall’idea che sia giusto guadagnare del denaro senza che esso sia il prodotto del proprio lavoro.
Il benessere non dovrebbe essere il risultato di un colpo di fortuna di questo genere, peraltro rarissimo. Si sa bene che vince soprattutto chi gestisce, i giocatori perdono quasi tutti; e, in ogni caso, a scapito di qualcun altro.
La linea che si definisce in buona parte dei comuni della nostra zona ci pare quella giusta; non si può negare la libertà degli individui di giocare, ma bisogna avvertirli delle possibili conseguenze, tutelare i minori, in ogni caso lavorare sulle comunità perchè siano sensibili e non lascino isolati i giocatori.
Peccato che si debba parlare di una parola così bella – gioco – con questi argomenti tristi. Riprendiamoci i suoi significati più belli: giochiamo in gratuità, per divertirci ed imparare, per ri-crearci. Come fanno i bambini.
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