GREVE IN CHIANTI – “L’associazione culturale La Macina di San Cresci è sotto sfratto”: lo dicono i suoi ideatori e animatori, Demetria (Mimma) Verduci e Duccio Trassinelli.
“Secondo quanto disposto dal parroco di Greve in Chianti – aggiungono – a fine ottobre dovranno lasciare quella che per trent’anni è stata la nostra casa-opera d’arte”.
E loro, non più giovani, si dicono costretti a tirar fuori le unghie per lottare contro la fine dell’esperienza di “un centro culturale e una residenza internazionale per artisti che, dal 2009, anima la vita di Greve in Chianti dai colli della vicina Montefioralle”.
Era il 1991 quando Mimma e Duccio, giovane coppia di architetto (lei), designer (lui), si innamorarono di questa magnifica ex canonica, e della sua Pieve del X secolo, lanciandosi nel folle e visionario sogno di restaurarla e restituirla a nuova vita culturale e al territorio.
Riprendendo quella vocazione che la vide, in passato, abitata dalla grande e celebre artista canadese, Françoise Sullivan, che compirà 100 anni nel 2023, da Guy Debord e Alice Becker.
Da “Teresa Mattei, mia madre, che veniva volentieri a trovarmi su quelle colline che erano i luoghi della sua lotta di Resistenza contro l’invasore germanico”.
Queste le parole con cui lo scrittore Gianfranco Sanguinetti, si rivolge, in un’accorata lettera, al vescovo di Fiesole (la cui Diocesi è proprietaria dell’immobile) Mario Meini, per
perorare la causa dell’associazione.
“Era come un mammut ferito, quando ci siamo entrati – racconta Demetria – senza acqua, riscaldamento, impianto elettrico né vetri alle finestre, il tetto semi crollato e i solai pericolanti, un water che scaricava in una buca”.
“Anno dopo anno – riprende – restaurammo la casa, la pieve (di cui diventammo anche custodi), le cantine, mettendo a disposizione il tempo e (notevoli) risorse economiche”.
“Oggi – sottolineano – La Macina di San Cresci è membro di un network internazionale di residenze per artisti: ne ha ospitati oltre 400, provenienti da tutto il mondo, ed ha ideato e organizzato progetti per la valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze, in collaborazione con molte istituzioni pubbliche: Regione Toscana, Provincia di Firenze, Università di Firenze, Toscana Film Commission, Comune di Greve e Comuni del Chianti”
“Alla base di questa vivace e feconda realtà – è la loro posizione – vigeva un patto, purtroppo di ordine essenzialmente morale: la Diocesi di Fiesole aveva salvato un proprio bene, affidandolo ad una coppia che lo ha restaurato e mantenuto a proprie spese e gli ha dato una destinazione culturale, in cambio della concessione di vivere tutta la loro vita lì”.
“Un patto trentennale di reciproco interesse – rimarcano – che si è improvvisamente rotto, in piena pandemia, per decisione del parroco di Greve, che ha sempre scelto di non conoscere questa storia né di dialogare con i suoi protagonisti. Se nulla cambierà a fine ottobre ci troveremo alla porta l’ufficiale giudiziario”.
“La vicenda – concludono – sta già trovando solidarietà presso gli artisti, docenti, istituzioni nazionali ed estere; è stata attivata una petizione su change.org (qui). Lettere stanno arrivando al vescovo di Fiesole affinché intervenga, perché non sia spenta una realtà culturale”.
E perché Duccio e Mimma, in buona sostanza, possano continuare in ciò che hanno costruito e vivere in tranquillità i loro ultimi anni.
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