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domenica 1 Giugno 2025
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    Nel Giorno della Memoria, la storia di Otello Aretini: da Tavarnelle a un campo di lavoro in Germania a 17 anni

    Il rastrellamento nei pressi della chiesa di Palazzuolo, il viaggio verso la Germania nei carri bestiame. La vita terribile nei campi, il ritorno a casa fatto quasi tutto a piedi...

    BARBERINO TAVARNELLE – “La storia insegna, ma non ha scolari”: questo diceva Antonio Gramsci, e nessuna affermazione risulta piĂą vera in occasione del Giorno della Memoria.  

    Un giorno durante il quale si sprecano frasi e post social su gli orrori della deportazione di milioni di esseri umani a causa della follia nazifascista.

    La funzione della memoria però per essere feconda non deve limitarsi a un mero ricordo ma deve spingersi oltre: significa conoscere la storia e le sue pagine buie e fare in modo che tutto ciò non debba più ripetersi.

    Anche il nostro territorio ha vissuto sulla propria pelle durante la seconda guerra mondiale storie terribili che è giusto conoscere affinché quel “mai più” diventi davvero reale.

    Quella che vi raccontiamo oggi è la storia di Otello Aretini, di Tavarnelle, che all’età di diciassette anni fu deportato in un campo di lavoro in Germania.

    Otello era nato l’8 luglio 1927 in una famiglia di falegnami, e giovanissimo aveva iniziato a lavorare nella ditta di famiglia con il padre Giovanni, detto Demo.  

    Quest’ultimo durante il regime fascista aveva subito un processo ed era finito in carcere perché accusato di propaganda antifascista. Come tante altre famiglie durante il passaggio della guerra, quella di Otello che abitava nella centrale via Naldini fu costretta a sfollare in un rifugio nella campagna intorno a Tavarnelle. 

    Era l’estate del 1944 e per l’esattezza il 13 luglio i tedeschi, essendo venuti a conoscenza d’italiani sospetti partigiani che si nascondevano nelle campagne, sopraggiunsero con le loro camionette nei pressi della chiesa di Palazzuolo dove avvenne un rastrellamento.

    Trovandosi davanti a Otello e al padre Giovanni li esaminarono e si accorsero che a Giovanni mancavano delle dita a una mano. Uno dei soldati tedeschi urlò nel suo italiano stentato “tu non buono per lavorare”. E senza indugio, al suo posto, prese il figlio: così spinse con forza Otello su una delle camionette.  

    A nulla valsero le preghiere e le suppliche della mamma Nella che, con in braccio la figlia minore Nina, non ebbe neppure il tempo di comprendere ciò che stava succedendo.  

    Fu così che anche il giovane Otello si ritrovò con altri suoi compaesani su un mezzo militare tedesco senza sapere cosa sarebbe successo. 

    L’unica certezza era quella di essere un prigioniero senza alcuna colpa. Otello e i suoi compagni di viaggio si guardavano e ognuno vedeva specchiarsi negli occhi dell’altro la propria angoscia.  

    La prima tappa fu Firenze dove furono radunati altri prigionieri e il viaggio proseguì poi per Bologna. Il 22 luglio, dopo una breve sosta vicino a Mantova, in attesa di attraversare il Po, Otello arrivò a Verona. 

    Da qui su vagoni bestiame si proseguì fino ad arrivare al confine con l’Austria. Una volta arrivati in Germania il “carico umano” fu diviso dai soldati tedeschi; e Otello fu portato in un Arbeitslager, nei pressi di Wuppertal, dove sarebbe rimasto per quasi un anno fino alla fine della guerra.

    Come si può ben immaginare la vita al campo era durissima, per le terribili condizioni in cui gli internati dovevano vivere. Rinchiusi in baracche di legno, in mezzo a prigionieri provenienti da molti Paesi d’Europa. Inoltre Per Otello non ci fu per tutto quel periodo alcun modo per comunicare con la famiglia. 

    Le violenze erano all’ordine del giorno e capitava di vedere uccidere sotto i propri occhi dei prigionieri che non avevano rispettato gli ordini. Di nascosto Otello con altri compagni, sfruttando la sua abilità di falegname, si era costruito una sorta di carrettino nel quale accumulare le bucce di patate e altri resti di cibo che qualche abitante del posto, mosso da pietà, gettava di là dalla rete del campo.

    Il campo di lavoro dove si trovava Otello fu liberato nella primavera del 1945, e i prigionieri si ritrovarono in mezzo alle macerie di una nazione distrutta. Ma dentro di loro c’era soltanto un pensiero: raggiungere al più presto i propri cari, fare ritorno a casa. 

    E fu così che Otello s’incamminò a piedi verso il confine indossando una sorta di pigiama, che era l’abito da lavoro nel campo, e un paio di zoccoli di legno, che gli avrebbero rovinato per sempre i piedi.  

    Ogni tanto c’era qualche passaggio di fortuna, ma la maggior parte del tragitto fu fatta a piedi. Una volta superato il confine, fu possibile prendere un treno e raggiungere Bologna e infine Firenze. 

    Qui Otello fu recuperato insieme ad altri da un mezzo diretto verso Siena, che lo lasciò a Tavarnelle. La mamma Nella ricordò per molti anni di non averlo riconosciuto subito tanto era dimagrito e provato.  

    Otello ha lasciato i suoi cari il 2 febbraio 1992, ma per tutto l’arco della sua vita non ha mai dimenticato quel periodo di prigionia in una terra straniera, vicina per noi oggi, ma lontanissima per un diciassettenne del 1944.

    Ciò nonostante non parlava spesso di questa sua esperienza, ma per chi lo conosceva bene era facile intuire a volte un’ombra nei suoi occhi. Sicuramente si trattava del riaffiorare di certi ricordi. 

    Era un uomo pacifico, estraneo a qualsiasi sentimento di rabbia o rancore. A proposito della politica, la sua grande passione, diceva sempre che la democrazia e la pace sono i beni piĂą preziosi per i quali dobbiamo lottare con forza e coraggio. Ogni giorno della nostra vita.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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