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lunedì 20 Ottobre 2025
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    Alle radici di percorso di fede e di una vocazione: incontro con don Marco Tognaccini, sacerdote a 27 anni

    Nella parrocchia di San Casciano dall'ottobre 2021, venne ordinato sacerdote dal cardinale Betori il 24 aprile 2022: "Già alla fine delle medie avevo maturato questo pensiero"

    SAN CASCIANO – Tanta gente pensa che fare il prete sia un mestiere. Uno che dispensa parole, benedizioni e santini. Ma una tonaca non basta per definirsi prete, sotto quella tonaca c’è un uomo con tutte le sue fragilità e i suoi dubbi.

    Un uomo però che nella sua miseria ha fatto una scelta ben precisa che rappresenta una sfida per il mondo che ci circonda, un’inversione di tendenza rispetto alla mentalità corrente.

    La tonaca che un prete decide di indossare oggi può avere un peso enorme. I motivi sono tanti, anche le contraddizioni e gli angoli bui talvolta presenti all’interno della Chiesa stessa.

    Inoltre, un ragazzo che sceglie di farsi prete deve caricarsi il più delle volte sulle spalle la non accettazione della sua scelta da parte della famiglia, le critiche degli amici e le infinite supposizioni di tanti.

    Ma non si diventa preti per essere dei supereroi e avere l’approvazione del resto del mondo. Chi oggi fa questa scelta in modo consapevole lo fa per servire gratuitamente a fondo perduto, per mettersi a disposizione di una comunità.

    Una chiacchierata con don Marco Tognaccini, ordinato sacerdote a metà dei suoi vent’anni, può farci capire meglio cosa c’è alle radici di tutto ciò e come questa decisione può maturare nel cuore di un ragazzo.

    Don Marco è un volto ormai conosciuto a San Casciano: qui è arrivato a ottobre 2021, sette mesi prima di quel 24 aprile 2022 in cui fu ordinato sacerdote nel Duomo di Firenze dall’allora cardinale Giuseppe Betori.

    Tanti ragazzi di San Caciano insieme al gruppo dei chierichetti della Propositura andarono a festeggiarlo e alla fine della celebrazione lo attesero fuori dal duomo con un gande striscione d’auguri.

    Prima di venire a San Casciano don Marco aveva trascorso un periodo a Pontassieve come seminarista.

    Classe 1995, è nato a Firenze in una famiglia di cattolici osservanti. La sua parrocchia è stata quella di Legnaia, dove come tanti ragazzi e ragazze ha fatto il chierichetto per diversi anni, partecipando a tutte le attività di questa parrocchia che lui ricorda molto attiva e vivace.

    La decisione di entrare in seminario per poter un giorno diventare sacerdote è nata presto, “già alla fine delle medie avevo maturato questo pensiero che si poi concretizzato a venti anni, dopo la maturità, quando ho varcato la soglia del seminario” ci racconta.

    Alla domanda su quale sia stata la reazione dei genitori, Marco ci racconta che “sul momento la sorpresa fu grande, e i primi tempi non posso dire che siano stati felici. Ma poi, anni dopo, sicuramente confortati dal mio convinto cammino, lo stupore e lo scetticismo iniziali hanno lasciato il posto a una vera e propria contentezza”.

    Don Marco ci riferisce poi di un episodio particolare e quasi premonitore, avvenuto il giorno della sua Cresima, all’inizio del primo anno delle scuole superiori: “Ricordo che eravamo in tanti e che il celebrante era Monsignor Giuseppe Bertelli, ex vescovo di Volterra in pensione. Allo scambio della pace, si ferma davanti a me che ero l’ultimo della fila e, porgendomi la mano mi dice Se il Signore chiama te, non avere paura. E’ un ricordo questo che per anni, e tuttora, è rimasto vivido nella mia mente. È come se in quel momento qualcuno avesse letto nella mia anima ciò che di lì a pochi anni si sarebbe compiuto e mi avesse esortato ad andare avanti abbandonando ogni timore”.

    Ma cosa significa decidere così presto di intraprendere il cammino sacerdotale e ne vale davvero la pena? “Oggi posso dire che ne vale davvero la pena – risponde don Marco – poiché c’è in gioco la felicità di una vita”.

    E qual è il compito più autentico di un sacerdote all’interno di una comunità? “Prima di tutto cercare di intercettare la parte più intima delle persone, tentare di dare parole di senso dove il senso sembra essere perduto. Oppure essere capaci anche di non dare parole di senso ma aspettare l’altro: il silenzio davanti ai grandi misteri della vita può diventare un terreno fecondo, dove si possono trovare anche delle possibili risposte”.

    E infine cosa ci dice a proposito di San Casciano e della vita all’interno della sua parrocchia? “Mi ritengo molto fortunato ad avere avuto la possibilità in questi miei primi anni di sacerdozio di vivere in una comunità come quella di San Casciano. Qui mi sono sentito subito accolto, grazie anche al Proposto, don Massimiliano. Vivere in un paese aiuta ad avere dei punti di riferimento ben precisi e la parrocchia è ovviamente uno di questi”.

    “Il fatto di essere giovane – aggiunge – mi ha permesso di camminare insieme ai taNti ragazzi e ricevere la loro fiducia è un dono estremamente prezioso. La parrocchia però non è fatta solo dai giovani, ci sono tante altre realtà come le situazioni di disagio di persone adulte e la solitudine di molti anziani”.

    “E’ in questi contesti – conclude don Marco – che la mia scelta di seguire il Vangelo acquista senso: la gente deve sapere che un sacerdote è qualcuno di cui ci si può fidare e anche se è banale ripeterlo, mai come oggi si sente il bisogno di aver fiducia nell’altro e di riscoprire attraverso questa fiducia la nostra umanità più autentica”.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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