TAVARNELLE (BARBERINO TAVARNELLE) – Il 30 gennaio scorso Reno e Laura sono riusciti a rientrare in Italia e a tornare nella loro casa a Tavarnelle, dopo aver trascorso un soggiorno di lavoro a Hohhot, città a nord della Cina.
La coppia, lui di 55 e lei di 53 anni, era arrivata a Hohhot l’8 gennaio, quando già da qualche giorno il coronavirus cinese si stava espandendo a macchia d’olio tra gli abitanti della città di Wuhan, posizionata a sud del Paese, nella provincia di Hubei.
Il viaggio di lavoro di Reno, accompagnato dalla moglie Laura, si è ben presto trasformato in un vero inferno, una corsa contro il tempo, mentre il virus proseguiva il contagio raggiungendo le altre città del paese.
“La tensione e la paura a Hohhot si respiravano nell’aria – racconta Laura – già pochi giorni dopo il nostro arrivo le strade cominciavano a svuotarsi e la maggior parte dei negozi erano chiusi con i bandoni abbassati. È difficile spiegare a parole la preoccupazione che emergeva dagli occhi dei cittadini”.
Fino al 28 gennaio Reno continuava a recarsi a lavoro presso la sua azienda, dove ogni giorno veniva sottoposto a controlli, mentre Laura, sempre più allarmata, si teneva in contatto con familiari e amici in Italia, preoccupati quanto lei, continuando ad aggiornarsi sui movimenti del contagio anche tramite l’ambasciata italiana.
“Ho potuto trascorrere gli ultimi cinque giorni chiusa in casa – continua Laura – perché ero riuscita a fare scorta di beni di prima necessità al supermercato. Reno, invece, ha continuato a lavorare, finché l’ultima mattina prima della partenza ha trovato l’azienda senza dipendenti”.
Il 29 gennaio l’azienda di Reno ha richiesto il loro rientro. Subito la coppia ha preparato le valige e si è diretta all’aeroporto della città per prendere il volo con scalo a Pechino.
“Le strade di Hohhot erano deserte – racconta Reno – niente autobus, niente metro, tutti i negozi erano chiusi e il silenzio della città era pesante. Ma abbiamo avuto la fortuna di trovare uno dei pochi taxi ancora in circolazione”.
Con indosso le mascherine di protezione si sono imbarcati sul volo di ritorno verso casa, diretto prima a Pechino, poi a Francoforte e infine a Firenze.
“Ma né a Francoforte né a Firenze abbiamo ricevuto controlli – dice Reno con rabbia – nonostante fossimo gli unici passeggeri che indossassero le mascherine”.
“Una volta arrivati a Firenze – prosegue – sempre indossando le mascherine siamo rientrati nella nostra casa a Tavarnelle e lì siamo rimasti chiusi in quarantena volontaria per due settimane, senza mai uscire. Nostra figlia ci portava la spesa e tutto quello di cui avevamo bisogno, indossando sempre guanti di protezione e mascherina”.
La coppia ha seguito scrupolosamente le indicazioni rivolte dall’azienda di Reno a lui e ai suoi 32 colleghi rientrati dalla Cina nello stesso momento: due settimane di ritiro assoluto nella propria abitazione e nessun contatto diretto con persone esterne a essa, per verificare l’eventuale insorgenza di sintomi da coronavirus cinese entro il periodo di incubazione del virus (fino a quattordici giorni).
La “quarantena autoindotta” per la coppia si è conclusa il 14 febbraio scorso ed entrambi i coniugi fino a oggi riferiscono di non aver presentato alcun sintomo.
“Ci siamo sentiti in dovere – dice Laura – di raccontare la nostra esperienza per far capire che la quarantena è importate, per la protezione propria e degli altri, perché non si tratta di un gioco, il contagio è veloce e bisogna prestare attenzione. Se arrivi dalla Cina resta due settimane in casa senza uscire per verificare l’insorgenza di eventuali sintomi”.
Reno è già ripartito per lavoro e si trova attualmente a Taiwan, nazione insulare a un centinaio di chilometri dalla Cina.
“Qui la situazione è più sotto controllo e sono stati chiusi immediatamente gli scambi con la Cina – ci dice Reno da Taiwan – ma c’è comunque preoccupazione”.
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