“Dove tutto è iniziato”: bastava questo sottotitolo per capire l’impostazione della serie sul Mostro di Firenze di Netflix, diretta da Stefano Sollima (che, fra gli altri, ha diretto Romanzo Criminale e la serie di Gomorra), al numero uno fra le visioni sulla piattaforma digitale da alcuni giorni (dal 22 ottobre).
Niente “compagni di merende”, niente indagini su presunti mandanti. Si parla della cosiddetta “pista sarda”.
Ben conosciuta fra i tanti che da decenni si interessano degli otto duplici omicidi delle coppiette che per 17 anni insanguinarono la campagna fiorentina. Parzialmente (o del tutto) sconosciuta al grande pubblico.
Un punto di vista preciso e circostanziato su una delle vicende ancora oggi più terribili, oscure e contradditorie del nostro Paese (e non solo).
Stefano Mele, il fratellastro Giovanni, il cognato Piero Mucciarini. E poi Barbara Locci e l’amante Antonio Lo Bianco, Alessandro e Francesco Vinci, … .
Quattro episodi che fra flashback, la visione (cruda, forse troppo) di molti dei duplici omicidi, salti all’indietro continui, diversi punti di vista in particolare sul primo omicidio, quello di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco a Signa.
Uno spaccato di vita fra gli anni Cinquanta, e poi Sessanta, Settanta e Ottanta. Un mondo maschilista e violento, patriarcale e dai tanti segreti inconfessabili.
Si parte dal matrimonio di Barbara Locci e Stefano Mele, da La Romola, nel comune di San Casciano. E poi dall’omicidio di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini nella piana di Baccaiano, a Montespertoli.
E si procede fino all’ultimo dei duplici omicidi, quello nella piazzola degli Scopeti, nel comune di San Casciano, in cui a morire sotto i colpi del Mostro furono Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili.
C’è, ovviamente, tanto del nostro territorio anche all’interno di questi primi quattro capitoli.
Diciamo primi quattro perché pare del tutto plausibile che ci si sia fermati alla “pista sarda” per dare un nuovo punto di vista, più concentrato, prima di proseguire con tutto il resto.
Con i “compagni di merende”, Pietro Pacciani, Mario Vanni, Giancarlo Lotti, con le indagini e i processi sui presunti mandanti.
Lo “dicono” le riprese che vennero effettuate mesi fa nel cuore di Mercatale, e che nei quattro episodi sono del tutto inutilizzate.
Tranne l’ultima scena, in cui si introduce la figura di Pietro Pacciani, ripreso mentre sbraita nel giardino della sua casa in via Sonnino: un’ultima scena che, probabilmente, introduce i prossimi capitoli firmati Stefano Sollima.
E a voi questi primi quattro sono piaciuti?
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