FIRENZE – “Vi scrivo per lanciare un appello al salvataggio dei piccoli agricoltori toscani, un pezzo del mondo non solo produttivo e occupazionale ma anche culturale e sociale della nostra regione”.
Inizia così la lettera aperta di Ritano Baragli, presidente della Cantina Sociale Colli Fiorentini, che lancia un vero e proprio allarme rosso.
“La pandemia – prosegue la lettera – ha cambiato in profondità le nostre vite e ancora oggi, nonostante la massiccia campagna vaccinale, rischia di portare ulteriori disagi a tante famiglie e imprese. E’ vero che in questo momento l’attenzione collettiva è spostata su altre emergenze, a cominciare giustamente dall’esigenza di bloccare il più possibile la diffusione della nuova variante Omicron e i suoi potenziali effetti negativi, diretti e indiretti, sulla salute delle persone”.
“Tuttavia – rimarca – una porzione di questa attenzione almeno da parte delle istituzioni pubbliche dovrebbe essere riservata anche al nostro mondo che rischia (e non sto esagerando) l’estinzione. Mi riferisco a quel patrimonio di piccole aziende agricole, spesso a conduzione familiare, che in questi mesi hanno tenacemente resistito cercando di rimanere produttive nonostante tutto”.
“Oggi – denuncia – queste nostre aziende, che mi onoro di rappresentare oltre a farne parte, non sanno se fra qualche settimana potranno continuare a lavorare e a esistere”.
“L’aumento dei costi fissi – scrive ancora Baragli – reso insostenibile a causa dei rincari energetici e delle loro conseguenze dirette e indirette (pensiamo solo all’aumento dei costi dei trasporti e delle materie prime), abbinato alla pratica dei prezzi al massimo ribasso praticato dalla grande distribuzione sui prodotti agricoli e agroalimentari, hanno creato un vero e proprio effetto tagliola”.
“Le nostre produzioni costano sempre di più – specifica – ma ci vengono pagate sempre meno in relazione ai costi fissi da sopportare: una morsa in cui il piccolo agricoltore, quello che ha puntato tutto non sulla quantità ma sulla qualità del prodotto, viene schiacciato”.
“Fin qui – spiega ancora Baragli – molti di noi hanno tirato avanti usando i risparmi o aprendo nuove linee di credito con le banche, nella speranza che dopo l’emergenza Covid sarebbe arrivata una ripresa più lunga e più equa in grado di garantire anche alle aziende agricole di piccole dimensioni quei margini indispensabili per tenersi in equilibrio”.
“Tutto questo però non è successo – denuncia – e quindi oggi molti di noi non solo devono far fronte anche a situazioni finanziarie più precarie. Le conseguenze sul piano economico, occupazionale e sociale di questa situazione sono facilmente immaginabili. Sono invece meno percepibili le conseguenze sia culturali che ambientali nel medio periodo”.
“Ogni azienda agricola che chiude infatti – si legge – non vuol dire solo una famiglia in più senza reddito, ma anche un pezzo della nostra Toscana che viene abbandonato. Una parte della nostra tradizione culturale centenaria che viene cancellata e con essa un presidio in meno in difesa dell’equilibrio ambientale e idrogeologico”.
“L’abbandono di un territorio – rimarca – produce incuria, la quale a sua volta aumenta il rischio che fenomeni metereologici particolarmente impattanti possano produrre danni irreparabili. Sono fatti e storie note che abbiamo, purtroppo, già visto accadere anche nel recente passato. Dove viene meno la cura del territorio, del bosco, del corso d’acqua, della collina, è più facile che non vi siano freni a quegli eventi atmosferici che sono sempre più violenti, improvvisi e concentrati a causa dei cambiamenti climatici”.
“Abbandonare oggi al proprio destino i piccoli agricoltori – conclude Baragli – significa rinunciare a difendere un pezzo di Toscana”.
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