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giovedì 27 Marzo 2025
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    Barberino Tavarnelle: dopo 30 anni alla guida della Stazione dei carabinieri si congeda il luogotenente Giuseppe Cantarero

    Comandante della Stazione di piazza Matteotti dal 1995, con lui ripercorriamo questi tre decenni al servizio della comunità. I suoi saluti, il suo grazie

    BARBERINO TAVARNELLE – Venerdì 7 marzo si è chiusa un’epoca per Barberino Tavarnelle. Dopo 30 anni alla guida della Stazione dei carabinieri di piazza Matteotti, è arrivato il congedo per il luogotenente Giuseppe Cantarero.

    Semplicemente “il comandante” per tanti, tantissimi, che in questi tre decenni hanno avuto modo di apprezzarne le qualità professionali e umane.

    Lo incontriamo per una chiacchierata. Un bilancio, in quello che è il racconto di una lunga parte di vita dedicata a questa comunità, a questo territorio. 

    In cui si congeda dopo decenni di onorato servizio, tanti riconoscimenti interni all’Arma. Oltre a prestigiose onorificenze, come Cavaliere della Repubblica Italiana e Cavaliere dei Paesi Bassi. Ma non sono certo soltanto i titoli a descrivere un percorso di vita.

    Partiamo dall’inizio, dal suo arruolamento nell’Arma dei carabinieri.

    “Mi sono arruolato nel 1988: a 19 anni, subito dopo la maturità, in Sicilia. Sono infatti originario di Regalbuto, provincia di Enna. Fu una scelta molto meditata e voluta, non vedevo altro nel futuro per me, se non quello: anche per il rapporto che avevo con i carabinieri del posto, straordinario. La mia famiglia aveva un’azienda avviata, della quale dovette subito occuparsi mio fratello minore, perché mio padre venne a mancare. Ma hanno capito che questo era il mio destino”.

    Inizia quindi il suo percorso nell’Arma…

    “La mia prima destinazione fu Badia a Settimo, nel comune di Scandicci. Feci due anni lì, come vice comandante, con un superiore che mi insegnò tutto quello che voleva dire fare il comandante di Stazione. Da lì passai al nucleo operativo della Compagnia di Oltrarno, a Firenze. Lì ci siamo presi grandi soddisfazioni, ma nella mia carriera pensavo comunque di voler fare il comandante di Stazione, nonostante le mille specializzazioni che offre l’Arma; era l’obiettivo che mi ero posto fin dalla scuola sottufficiali”.

    E fu così che arrivò alla Stazione di Tavarnelle…

    “Nel 1995 andava in pensione il Cavalier Tagliaferri: io avevo già lavorato su Tavarnelle per l’omicidio Malatesta e avevo conosciuto tutto il territorio, le persone. Quando si è prospettata questa ipotesi non ho esitato un secondo: peraltro, allora era una Stazione che ancora apparteneva alla mia Compagnia di Firenze Oltrarno (Scandicci è nata nel 2000). Avevo 26 anni, sono stato qui 30 anni precisi, un record quasi assoluto. Qui è cresciuta la mia famiglia, sono nati i miei figli, qui ho vissuto e vivrò”.

    Come fu il suo approccio con Barberino Val d’Elsa e Tavarnelle, allora (e per molti anni ancora) due comuni separati ma con un’unica Stazione?

    “Il primo impatto con il territorio non fu semplice. Davo il cambio a un comandante che aveva 60 anni, arrivavo io che ne avevo 26 e la comunità mi guardava con un pizzico di curiosità. E io, ovviamente, osservavo comportamenti diversi da quelli che avevo lasciato in Sicilia. Ad esempio, da noi il comandante di Stazione partecipava alle celebrazioni, civili e religiose, obbligatoriamente, ma erano circoscritte. Qui c’erano più paesi, più tradizioni, e io non volevo deludere nessuno. Insomma, rimbalzavo di qua e di là. Non per un becero presenzialismo, ma mi rendevo conto che le due comunità, di Barberino e Tavarnelle, avevano bisogno di attenzioni specifiche”. 

    E poi lei arrivava da due esperienze professionali più legate alla città.

    “Se penso alla mia esperienza in Stazione, a Badia a Settimo, periferia di Scandicci, c’era un numero di abitanti per km quadrato esagerato, un numero di aziende esagerato, ma un territorio più ristretto, meno rapporti diretti con le persone. Una volta arrivato qui mi sono ritrovato con gli sguardi della gente che scrutava sempre quel che facevo, e una dispersione territoriale che ti metteva in difficoltà sotto tanti punti di vista: 123 km quadrati di territorio, due Comuni, due sindaci, due comandi dei vigili urbani…”. 

    Insomma, un altro mondo.

    “Sì, anche i rapporti relazionali erano diversi: ci si trovava in piazza la mattina con i comandanti dei vigili, il comandante della forestale e si faceva una chiacchierata insieme. Ci si aggiornava, magari davanti a un caffè, e poi iniziava la giornata. Con i cittadini c’era invece, definiamolo così, un reciproco studio… tattico. Loro mi vedevano come un ragazzino, io li vedevo diversi dai miei conterranei, un po’ più distaccati“.

    Operativamente, che anni erano?

    “Il mio arrivo qui corrispose esattamente alla prima ondata di sbarchi dall’Albania; anche questo territorio visse il primo vero flusso di immigrazione consistente. E questo portò alla presenza di alcuni soggetti non sempre per bene, a un considerevole aumento dell’attività di spaccio di droga, all’aumento di reati, di furti, qualche molestia, cose a cui qui non si era abituati. Partimmo con una contro offensiva importante, e nel giro di un anno o due risolvemmo la situazione radicalmente. Fu primo risultato tangibile, che però non venne subito compreso dai cittadini: la nostra infatti era una presenza territoriale massiccia, a cui non c’era abitudine e che alcuni non comprendevano. A tutte queste dinamiche si aggiungevano i rapporti relazionali con la famiglia reale d’Olanda, con tutto lo staff tecnico che coordinava scorta, vigilanza, sicurezza. Che andava gestita e, ai tempi, non era una cosa da poco. Poi la presenza di circa 1.800 aziende. Con i timori di infiltrazione in un territorio estremamente ricco. Facevo il giro, andavo a trovare gli imprenditori, una attività preventiva ma molto impegnativa. Poi, con la trasformazione dell’area al confine di Poggibonsi in zona commerciale, ecco ancora nuove zone da controllare, presidiare, migliaia e migliaia di persone che vi si recavano ogni giorno”.

    Ci sono alcune operazioni, aneddoti che ricorda in particolare?

    La cosa più eclatante fu il confitto a fuoco in piazza, nel 1997, quando due rapinatori irruppero nella Coop, che allora era proprio accanto alla Stazione. Li arrestammo tutti e due, uno ferito sul posto e uno in serata. Ricordo il tentativo di sequestro di una donna nel 2009, a San Donato in Poggio. Le tante attività di contrasto allo spaccio, sgominando anche organizzazioni locali a cui nessuno avrebbe creduto. Ma si potrebbe andare avanti delle ore…”.

    A un tratto però, anche il suo legame con la comunità locale giunse una svolta.

    Il rapporto di conoscenza reciproca iniziò a svoltare quando, dopo una decina d’anni, con i figli che avevano frequentato le scuole, avevamo conosciuto i genitori, le famiglie frequentavano casa nostra, mi invitarono a partecipare a un paio di partite di calcio di beneficenza. E da lì iniziai a giocare con i ragazzi di Tavarnelle a calcetto. Entrai in modo più informale nella comunità. Dal punto di vista istituzionale lo facevo già e l’ho sempre fatto: non mi sono mai perso una manifestazione pubblica in trent’anni. Sacrificando notevolmente, me ne sono purtroppo accorto in seguito, anche gli affetti familiari. Non c’erano sabato, domenica, festivi…”.

    Insomma, una vera e propria full immersion a 360 gradi.

    “Dal calcetto tornai a fare karate, che era (ed è) la mia grande passione, venendo a contatto anche lì con persone, famiglie, bambine e bambini, ragazze e ragazzi, nell’ambito di uno sport, una disciplina, che amo. Da lì poi il percorso è stato di grande vicinanza, venendo visto anche dalla popolazione sotto una luce un po’ diversa. Sempre ovunque, disponibile, in mezzo a tutti anche nella quotidianità. Diventando anche io un tavarnellino: non a caso, per i venti anni alla guida della Stazione, mi hanno conferito il Premio Il Passignano. Un ruolo impegnativo ma anche motivo di soddisfazione. Una confidenza che, dal punto di vista operativo, mi ha anche permesso di avere occhi su tutto il territorio, grazie allo stretto legame con le persone e le associazioni. Tanto che negli ultimi dieci anni ho vissuto benissimo, con grande serenità, il rapporto instaurato con la cittadinanza. Talmente stretto e di confidenza che magari, quando andavo a fare un sopralluogo in una casa derubata, arrabbiato per quanto accaduto, era il proprietario a cercare di consolarmi”.

    Si arriva al 13 agosto dello scorso anno, al terribile incidente stradale in cui, con la sua moto, si scontra con un mezzo per la raccolta dei rifiuti. E rischia grosso, grossissimo.

    Sono stato fra la vita e la morte per tre giorni, ed è proprio a causa dei traumi riportati che non ho potuto proseguire l’attività professionale. Sono grato anche ai soccorritori, ai chirurghi di Careggi che mi hanno salvato la vita. Ma è stato proprio nell’incidente che i cittadini hanno manifestato il massimo affetto, seppure in maniera sempre discreta. Mai e poi mai mi sarei aspettato questa vicinanza: straordinaria, fuori da ogni immaginazione. La mia famiglia è stata circondata dall’affetto di tutti. Che chiedevano informazioni, si preoccupavano. E quando mi hanno visto per le prime volte a Tavarnelle in tantissimi sono venuti, a salutarmi e ad abbracciarmi. E’ stato emozionante”.

    Una volta che le hanno ufficializzato il congedo, come si è sentito?

    “L’ho vissuto con leggerezza, probabilmente anche per il fatto che da agosto sono assente. Non è stato un distacco immediato, ma a causa dell’incidente e di tutto il percorso seguente, l’ho vissuto in modo progressivo. Nella consapevolezza che ho una marea di sogni, di cose da fare. E che farò. Il karate, che è la mia grande passione, e mi mancano soprattutto i bambini ai quali tramandarla. E tornerò in moto, a prendere un po’ di fresco in faccia. Insomma, mi vedrete in giro…”. 

    Ha qualche saluto da fare?

    “Vorrei salutare tutti i cittadini di Barberino Tavarnelle, ai quali mando un grande abbraccio. Saluto tutte le istituzioni, i sindaci attuali e quelli passati (Armando Conforti, Michele Bazzani, Maurizio Semplici, Giacomo Trentanovi, Oreste Torre, Stefano Fusi, Sestilio Dirindelli, David Baroncelli). I tanti sacerdoti, i frati di Badia a Passignano con i quali ho sempre avuto rapporti straordinari, le simpaticissime suore del Morrocco. I presidenti di associazioni culturali, sociali e sportive, la dirigente scolastica Maria Pia Misiti e chi l’ha preceduta. E faccio un grosso in bocca al lupo e tanti auguri di buon lavoro a chi mi sostituirà”.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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