spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
martedì 7 Ottobre 2025
spot_img
spot_img
Altre aree
    spot_img

    L’INTERVISTA / Remo Ciapetti, una delle memorie storiche di San Casciano: “La mia vita, i miei ricordi”

    Ultracentenario da qualche mese, è stato sindaco dal 1955 al 1970. Siamo andati a trovarlo per una lunga chiacchierata a ritroso nel tempo, a partire dal 18 dicembre 1922...

    SAN CASCIANO – Ha passato i cento anni da qualche mese Remo Ciapetti, nato a San Casciano il 18 dicembre 1922.

    O, meglio, in via Novoli, poco distante da Mercatale, per poi trasferirsi nel piccolo borgo di San Fabiano, sopra le Quattro Strade: dove oltre alla chiesa, ai pallai, alla pista da ballo, c’era perfino il circolo del Pci.

    Remo oggi vive con la figlia Sonia a San Casciano: dove per quindici anni, dal 1955 al 1970, è stato sindaco. Non solo: successivamente è stato anche consigliere provinciale e presidente dell’Ente Provinciale del Turismo.

    Ha scritto libri molto interessanti. Come quello con Carlo Salvianti, “Lotte Politiche e Sociali in Val di Pesa dal primo dopoguerra alla Liberazione (1919-1944)” , e “Le radici del nostro presente. Cronaca amministrativa del Comune di San Casciano”.

    Ha poi curato una monografia, “Dante Tacci. Memorie di un antifascista (1910- 1944)” e per ultimo si è dedicato a “San Casciano dalle origini ai primi del ‘900: un comune affacciato sul mondo”.

    Parlare con lui apre quindi scenari ampi. Ricordi e storie. Racconti e aneddoti. Riflessioni delle quali c’è bisogno. Sempre.

    Abbiamo incontrato Remo nel suo salottino, immerso tra i tanti libri che ogni tanto rilegge. Così come legge, tutti i giorni, il suo quotidian preferito.

    Ha passato da qualche mese i cento anni, così come il professor Otello Pampaloni, a lungo con lei in consiglio comunale (lei nel Pci, lui nei banchi della Dc) e come don Renzo Polidori, proposto emerito. Siete tre formidabili memorie storiche di San Casciano. Innanzi tutto, come sta Remo?

    “Non cammino tanto, ci sento poco, ma tutto sommato devo dire che posso accontentarmi”.

    Lei è nato in via Novoli, una strada bianca che andava a sbucare fino alla strada per Greve in Chianti. Campagna profonda ai tempi…

    “Esatto. La mia famiglia era di origini contadine. Anche un altro sindaco di San Casciano era di origini contadine: è stato Vasco Agresti, dal 1970 al 1980″.

    La mamma Emma e il babbo Gino

    Lei è figlio unico?

    “Ho avuto due sorelline, gemelle: purtroppo mia mamma Emma nel 1929, per una caduta accidentale, partorì precocemente. E il giorno dopo le gemelline morirono. Le chiamarono Rina e Renza. La nostra era una famiglia grande, si viveva con i nonni e gli zii: purtroppo mio babbo, Gino, morì all’età di 45 anni. Dopo la sua morte la mia vita cambiò in modo radicale, la vita di un giovane contadino era difficile. Utilizzai tutto il mio impegno, così imparai a fare i panieri, i cestini per le damigiane, le ceste di castagno…”.

    Era molto affezionato a suo babbo Gino?

    “Sì, ricordo che quando fu ricoverato in ospedale mio zio Giuseppe mi portò con lui a trovarlo, perché il professor Comolli (che aveva in cura il babbo) voleva parlargli. Mi vollero preparare al peggio: anch’io ascoltai le parole del professore, che ci disse che non c’era nulla da fare e che era meglio se riportavamo il babbo a morire a casa. Nei giorni precedenti al Natale mio babbo era a letto, aveva già capito che era alla fine della vita, così volle che mi cucissero un vestito da uomo, con i pantaloni lunghi. Fino ad allora portavo solo i pantaloni corti d’estate e alla zuava d’inverno. Mi volle vedere vestito con i pantaloni lunghi. Ricordo che andai in camera e lui, dal letto, mi disse: “Vedi, ora sei un uomo”. Non aggiunse altro e voltò la faccia dall’altra parte”.

    I tempi non erano davvero belli, incombeva anche la guerra…

    “La mia famiglia aderiva al Partito Popolare Italiano, che organizzò importanti lotte dei contadini. Il Partito Nazionale Fascista difendeva gli agrari, e i fascisti gli davano man forte contro i contadini. Durante una manifestazione all’azienda la “Leccia”, dalla quale dipendeva la mia famiglia, accadde un alterco tra mio babbo e il proprietario, tanto che ebbe ripercussioni sulla famiglia. Venne schiaffeggiato dal padrone e gli fu disdetta la licenza del podere. Non era facile trovarne un altro, il contadino che aveva avuto la disdetta si portava dietro un marchio negativo. E se poi era antifascista, ancora peggio”.

    Riuscirono a trovare un altro podere?

    “Grazie a Eugenio Francioni, che era aderente o simpatizzante al Partito Popolare, ci fu concesso un podere a San Fabiano. Io avevo tre anni”.

    Dopo l’infanzia cosa ha fatto?

    “Grazie a mia mamma entrai come dipendente ausiliario in funzione di frenatore, a Firenze. Per un periodo mi trasferii in via Faenza e, nei giorni liberi, tornavo in bicicletta a San Fabiano”.

    Arrivò anche il momento del richiamo alle armi…

    “Con qualche scusa riuscii a rimanere in Italia, feci il corso di trombettiere, tanto che divenni maestro e insegnai ad altri militari a suonare la tromba. Non ho mai sopportato la vita militare”.

    Ha proseguito a suonare anche dopo?

    “Per un certo periodo sì, con un gruppo di giovani mercatalini mettemmo insieme un’orchestrina. Tornando al militare, l’8 settembre rimanemmo senza comando, così decisi di scappare dalla caserma per fare ritorno a casa. Presi una motocicletta e con me portai Gino Giachi di San Casciano: ci fermammo in una casa dove ci diedero degli abiti civili, mi disfeci anche del fucile, nascondendolo in un pagliaio. Arrivammo in una località di cui non ricordo il nome, dove c’era una piccola stazione ferroviaria, da lì transitavano i treni per Bologna. Arrivammo a San Ruffillo, una stazione a sud di Bologna, e da lì prendemmo un treno merci per Firenze. Scendemmo alla stazione di Rifredi e mi divisi dal Giachi. A Porta Romana presi il tram fino a Tavarnuzze, dove abitava mia zia Emma, mi feci prestare una bicicletta e raggiunsi San Fabiano: era il 12 settembre 1943″.

    Da quel giorno cosa fece?

    “Sono stato tutto il tempo in giro, nascosto nei vari rifugi, nei boschi. Nel mese di giugno 1944 incontrai alle Quattro Strade il colonnello del genio navale, Angelo Chiesa; aveva lasciato il servizio per non stare con i fascisti, stava presso una sorella che insegnava nella scuola delle Quattro Strade. Chiesa mi fornì un modulo militare regolarmente timbrato che serviva come licenza per malattia dal servizio”.

    Le fu utile?

    “Un giorno, mentre da San Fabiano andavo al Molinuzzo, fui fermato da una pattuglia di tedeschi, con me avevo una sporta con dentro un coniglio spellato e un fiasco di vino. Pensai che fosse la fine. Mi presero la sporta e mi chiesero dove andavo. Tra l’incomprensione e la paura, mi venne in mente della licenza di convalescenza che portavo con me. La scrutarono più volte passandosela, poi mi dissero “Raus”. Me ne andai camminando a passo lento; poi, appena lontano dai loro sguardi, mi misi a correre a più non posso per infilarmi in un campo di granturco, dove rimasi nascosto per un bel po’. Il coniglio e il fiasco di vino? Rimase tutto ai tedeschi…”.

    Quando lasciò San Fabiano?

    “Nel 1947, tornai a Mercatale, in piazza Tellini, per poi trasferirmi a San Casciano”.

    Arriva anche il momento del matrimonio.

    “Con Pia, che ci ha lasciato. Era la figlia del sindaco, una delle migliori sarte del paese, ha cucito per mezzo mondo: dal matrimonio è nata Sonia“.

    Quali sono i ricordi più belli che conserva di San Casciano?

    “Ce ne sono tanti: il momento che mi ha dato più soddisfazione è quando sono entrato in politica, nel Partito comunista italiano”.

    Ha avuto contrasti con l’opposizione di quei tempi?

    “Nella DC ricordo in particolare il professor Otello Pampaloni, una persona correttissima, così come il dottor Carlo Cappelletti, con i quali siamo rimasti amici. Ci sono state però anche persone che si sono comportate male, ma questo fa parte della vita”.

    Come vede oggi la situazione politica in Italia?

    “Non ci sono più gli uomini di un tempo, oggi mancano persone di sostanza, di peso, di cultura”.

    Invece la politica a San Casciano?

    “Ammetto che non sono in grado di dare un giudizio. Tra i sindaci che si sono alternati, quello più coraggioso e capace di realizzare alcuni obbiettivi è stato Massimiliano Pescini“.

    Il sindaco attuale, Roberto Ciappi?

    “E’ venuto a salutarmi poco tempo fa, è presto per dare un giudizio su di lui”.

    Come passa oggi, da ultra centenario, le sue giornate?

    “La mattina leggo La Repubblica e ritaglio gli articoli più interessanti, nel pomeriggio mi riposo un po’ e poi torno a leggere gli articoli ritagliati. Che non butto mai via!”.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

    Sostieni il Gazzettino del Chianti

    Il Gazzettino del Chianti e delle Colline Fiorentine è un giornale libero, indipendente, che da sempre ha puntato sul forte legame con i lettori e il territorio. Un giornale fruibile gratuitamente, ogni giorno. Ma fare libera informazione ha un costo, difficilmente sostenibile esclusivamente grazie alla pubblicità, che in questi anni ha comunque garantito (grazie a un incessante lavoro quotidiano) la gratuità del giornale.

    Adesso pensiamo che possiamo fare un altro passo, assieme: se apprezzate Il Gazzettino del Chianti, se volete dare un contributo a mantenerne e accentuarne l’indipendenza, potete farlo qui. Ognuno di noi, e di voi, può fare la differenza. Perché pensiamo che Il Gazzettino del Chianti sia un piccolo-grande patrimonio di tutti.

    Leggi anche...