BAGNO A RIPOLI – I ragazzi sono un fiume di parole. Raccontano senza esitazione quello che per loro ha voluto dire il Pellegrinaggio della Memoria, che gli ha consentito di visitare i luoghi dove si è compiuta una tra le piĂą grandi tragedie dell’umanitĂ : l’Olocausto.
Ciò che hanno provato, oltre a ciò che hanno visto: “Portiamo a casa maggiore consapevolezza di quanto la nostra testimonianza sia necessaria, perché i testimoni diretti di queste atrocità stanno pian piano scomparendo ed è giusto che i giovani tramandino ciò che poi non sarà più possibile far raccontare”.
A parlare sono Ittai, Alex, Gabriele, Giulia, Vittoria, Lucrezia, Benedetta, Naima, Amelie, Niccolò, Margherita, Anita e Giorgia: i tredici alunni dell’ultimo anno delle scuole secondarie di primo grado “Francesco Redi” dell’Istituto Comprensivo “Antonino Caponnetto”, e della “Francesco Granacci” dell’Istituto Comprensivo “Teresa Mattei” di Bagno a Ripoli.
Che, accompagnati dai loro insegnanti, professor Gianluca Saccutelli e professoressa Paola Accolla, hanno fatto parte di una delegazione di oltre trecento partecipanti in rappresentanza di venti comuni della provincia di Firenze.
“Un viaggio pesante – ci spiega uno di loro – perchĂ© da un libro di storia non si può capire cos’è veramente successo. Devi andarci, anche se non riuscirai mai a capire cosa hanno sofferto loro. Sono tornato diverso, una esperienza che ti cambia e ti arricchisce. Mi ero fatto un’idea di quello che avrei potuto trovare, ma quello che ho visto è stato l’inferno”.
“Emotivamente duro, ma per quanto potremo andare a visitare questi luoghi non potremo mai capire a pieno cosa è stato fatto lì” hanno detto i ragazzi dei due istituti.
Un viaggio che ha fatto emergere emozioni potenti: “Incredibile che meno di cento anni fa siano successe tali atrocitĂ e proprio in quei luoghi che sono bellissimi, circondati dalla natura – continuano ancora i ragazzi – A vederli di persona, in giornate piene di sole, non si riesce quasi ad immaginare la tragedia che lì hanno vissuti uomini, donne e bambini”.
“Vedere come al campo di Gusen siano state costruite delle case – riprendono – anche molto belle, sopra a quello che era un campo di concentramento, sapere che si vive sopra dove sono morte tante persone. L’abbiamo trovata una mancanza di rispetto, una cosa incredibile”.
Dalle loro parole emerge maturità , oltre quella che è la loro età , e un grande senso di giustizia nei confronti delle disuguaglianza che vivono anche quotidianamente nella loro realtà .
“Ognuno di noi può essere vittima di discriminazioni, aver visto quello che è stato fatto a tutte le persone deportate ci ha motivato a difendere la libertà di ciascuno – aggiungono ancora i ragazzi – Dobbiamo pensare con la nostra testa, difendere le idee per evitare di farci condizionare. Perché anche chi sapeva e non ha fatto niente è stato complice di quegli orrori”.
“Sarebbe importante che tutti gli alunni di tutte le scuole facessero questi viaggi” tengono ad aggiungere.
“Questo viaggio ha costretto i ragazzi, ma anche noi adulti, a porsi delle domande – ci dicono i professori – su ciò che è stato. E su loro e noi stessi. Fa piacere vedere come la Toscana abbia partecipato in maniera importante, numericamente superiore rispetto anche alle altre regioni presenti, contribuendo all’alto riconoscimento che l’Italia porta”.
Qualcuno dei ragazzi ha sentito l’esigenza di scrivere subito ciò che aveva provato, mentre erano sulla strada del ritorno, raccogliere le tante emozioni e fermarle affinché non potessero in qualche modo svanire.
Alcuni ci raccontano senza timore di aver pianto mentre erano alla manifestazione, liberando l’angoscia che provavano; altri una volta rientrati a casa, parlando con i familiari.
Li ha colpiti l’ingegno e la lucidità con cui era stato programmato lo sterminio: “Due opzioni di morte, immediata o per stenti. Non c’era scampo, non c’erano alternative”.
E l’indifferenza: “A Trieste la popolazione conduceva una vita normale nonostante che a quattro chilometri ci fosse la Risiera di San Sabba – continuano gli studenti parlando dell’ultima tappa fatta prima del rientro – E fino agli anni Settanta non avevano mai visto e saputo, o voluto sapere, che lì dentro erano morte migliaia di persone. Proprio lì, accanto a loro”.
Emerge dalle parole la responsabilità che sentono di avere: “Camminare sui passi di una persona, di tante persone che lì sono state torturate ed uccise è angosciante. Ed è per questo che è importante tramandarne la memoria, ed anche difficile farlo in maniera corretta. Sembra quasi ingiusto, per quanto sia importante e necessario farlo, stare qui a parlarne perché non capiremo mai il loro dolore”.
A ciascuno studente era stata data la scheda di un deportato, che hanno dovuto cercare per sapere se fosse sopravvissuto: “Abbiamo sofferto quando gran parte di noi ha scoperto che quella persona era morta. anche se non la conoscevamo, e per noi era solo un nome scritto su un foglio di carta”.
I ragazzi hanno visitato il campo di Dachau, quello di Ebensee, il Castello di Hartheim e il campo di Mauthausen.
Dove, domenica 7 maggio, si è svolta la cerimonia internazionale per il 78° anniversario della liberazione del campo, che ha visto anche la presenza del sindaco Francesco Casini con il presidente del consiglio comunale Francesco Conti e il consigliere Corso Petruzzi, arrivati per unirsi alla delegazione.
Il viaggio è stato possibile grazie al contributo economico dell’amministrazione comunale, supportato da rappresentanti dell’Associazione nazionale degli ex deportati dei campi nazisti (Aned) e dalla sezione ripolese di Anpi. Oltre all’impiego di fondi scolastici.
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