CHIANTI FIORENTINO – Ci sarebbero anche tre aziende vitivinicole chiantigiane molto conosciute, nella zona di Tavarnelle e Barberino Val d'Elsa, fra quelle che da questa mattina sono state coinvolte in una massiccia operazione coordinata dalla Procura di Prato, sulla base di indagini della Digos di Prato, in collaborazione con Polstrada Prato, Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato.
Le aziende e i loro titolari, è bene precisarlo, al momento non risultano coinvolte nel meccanismo perverso oggetto dell'indagine: ovvero il reclutamento e lo sfruttamento della manodopera clandestina, che da Prato veniva portata a lavorare nei campi chiantigiani. Insomma, secondo gli inquirenti non esistono per adesso elementi tali da poter affermare che fossero a conoscenza di quello che accadeva,.
E ad accadere era, secondo gli inquirenti, qualcosa di gravissimo, a tratti inumano. L'ipotesi alla base di tutto sarebbe quella di un caporalato "spinto", pervasivo, nell'ambito del quale un gruppo di pachistanti avrebbe sfruttato molti stranieri, alcuni dei quali profughi da poco arrivati in Italia, per mandarli a spaccarsi la schiena nelle aziende vinicole chiantigiane.
Numerose le perquisizioni messe in campo da questa mattina, e dodici gli avvisi di garanzia già notificati, fra stranieri (nove pachistani accusati di associazione a delinquere e intermediazione illecita) e tre professionisti italiani (accusati di concorso esterno in associazione a delinquere), che sono accusati di aver collaborato per fornire la documentazione necessaria per farla in barba alla normativa sull'immigrazione.
Dominus di tutto sarebbero marito e moglie, pachistani, che avrebbero due aziende nelle quali risulterebbero assunti, in tutto, oltre 160 stranieri. In realtà si sarebbe trattato di assunzioni fasulle, con buste paga che servivano soprattutto come "pezza d'appoggio" per la domanda di rifugiati politici. O come allegato alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno.
La "paga"? Si parla di 4 euro all'ora per giornate lavorative che arrivavano anche a 12 ore. Tutto sarebbe partito alcuni mesi fa, quando due degli immigrati sfruttati (del centro di accoglienza Santa Caterina a Prato) non avrebbero più retto alle vessazioni. Si racconta di persone mandate a lavorare senza scarpe, anche in pieno inverno. Talvolta anche picchiate.
di Redazione
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