GREVE IN CHIANTI – Trasmette passione per quello che fa Caterina Vienni. Nelle sue salde mani c’è la guida della cucina del ristorante albergo Da Verrazzano, nel cuore di Greve in Chianti.
Un vero baluardo della cucina toscana e chiantigiana nel nostro territorio. Uno dei pochi ristoranti rimasti, tanto per dirne una, con il “canto del foco”, il caminetto. Dove, in tutte e quattro le stagioni, si cuoce alla griglia.
La incontriamo in un pomeriggio di luglio, mentre saluta la sorella Margot e accoglie alcuni clienti che arrivano in albergo: qui, del resto, la gestione familiare è un marchio di fabbrica.
Caterina lavora in cucina dal 2000: “Prima – ci racconta – avevo fatto la cameriera, venivo in modo più saltuario. Poi, da 22 anni a questa parte, è diventata la mia seconda, forse prima, casa”.
Come nasce la tua passione per la cucina?
“Nasce essendo stata, di fatto, sempre qui. Ho fatto un percorso artistico a livello scolastico, cucinare è anche uno sfogo della mia creatività: a volte più a casa, dove posso sbizzarrirmi un po’ di più, che qui. Dove siamo legati a triplo filo alla tradizione. Da chi ho imparato? Da mia nonna Ottorina: che oggi ha 91 anni, ma che è stata qui fino a 5-6 anni fa”.
Quando hai capito che sarebbe diventata la tua vita?
“Non saprei dirlo. Prima ho fatto la cameriera. Poi mi piaceva fare i dolci, poi i primi piatti, il fritto. Infine… mi sono ritrovata in cucina a tempo pieno. Mi piace mettere le mani in pasta, mi piace strizzare i pelati, mettere le mani nei fagioli secchi. Insomma, riesco ad apprezzare anche i piccoli dettagli del cucinare e dell’avere a che fare con i prodotti”.
C’è qualcosa dei piatti della tua infanzia a cui sei più legata?
“Forse la minestra di fagioli. E il minestrone di verdura: che d’inverno abbiamo sempre anche in carta al ristorante”.
E qualcosa che oggi cucini con maggiore soddisfazione? Che sei contenta quando lo vedi nella comanda che arriva in cucina?
“Mi piace preparare il fritto. Le verdure con la pastella di acqua e farina. La carne con acqua, farina e uovo sbattuto. Il classico fritto toscano insomma: che qui da noi friggiamo rigorosamente in olio extravergine d’oliva”.
Cosa vuol dire avere un ristorante, addirittura in questo caso un ristorante albergo, a gestione familiare? Anche per le vostre famiglie, i vostri figli…
“Tanto sacrificio, perché soprattutto nei mesi estivi, furante le feste, ci sono pochissimo a casa. I miei figli (ne ho due) a volte vengono qui. E imparano anche a relazionarsi con gli altri: non hanno mai avuto problemi a stare composti in luoghi pubblici, o ad avere a che fare con le persone”.
Cosa ti piacerebbe mangiare da cliente, seduta a un tavolo del tuo ristorante?
“Io ordinerei un primo piatto. Ma anche il pollo alla griglia, che cuociamo nel caminetto. La domenica lo facciamo anche da asporto, da sempre. Il caminetto per noi è un qualcosa di importante, che ci identifica. A volte noto un certo voler accontentare tutti, fare una cucina globalizzata, che alla fine fa perdere (secondo me) identità. Noi, invece, non vogliamo cambiare una virgola”.
Come lo vedi il futuro delle cucine? Anche lì siamo a rischio “estinzione”?
“C’è un problema di ricambio generazionale, non troviamo persone a lavorare. Per le donne poi è ancora più complicato: mio marito fa i turni a lavoro, e quindi per me è possibile trovare un punto di incontro. E devo anche dire che due anni di Covid, paradossalmente, mi hanno fatto un po’ respirare. E ricaricare le batterie”.
Tu stai molto, quasi sempre, in cucina. Ma come hai visto cambiare, negli anni, Greve in Chianti?
“Secondo me si stanno perdendo i grevigiani. Manca il senso di appartenenza che c’era prima per il paese. E c’è chi segue questa tendenza anche dal punto di vista dell’offerta gastronomica”.
