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sabato 20 Aprile 2024
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    Olio, giaggiolo, zafferano: Gionni e Paolo Pruneti si raccontano a giornalisti e blogger

    SAN POLO (GREVE IN CHIANTI) – Capita, per fortuna nel nostro Chianti molto spesso, che la migliore pubblicità al territorio sia fatta dalle aziende che vi operano.

     

    Senza tanti squilli di tromba o trovare di marketing; semplicemente con il loro lavoro quotidiano: fatto di tradizione, passione, legami con il passato e sguardo proiettato verso il futuro.

     

    E' il caso della famiglia Pruneti, che da San Polo porta il Chianti, un Chianti… senza vino, in tutto il mondo: con il suo olio extravergine d'oliva, prodotto in un frantonio che in molti ci invidiano. Ma anche con il giaggiolo e lo zafferano.

     

    Gionni e Paolo Pruneti, la generazione che ha tuttora in carico l'azienda, l'hanno raccontato nei giorni scorsi a giornalisti e blogger da tutta Italia e anche dall'estero: venuti a San Polo per conoscere l'azienda, se ne sono andati portando con loro un pezzo… di Chianti.

     

    Un progetto, il loro, che ha il suo cardine nella cultura (sì, avete letto bene, cultura) dell’olio e dei prodotti agricoli tradizionali, come giaggiolo e zafferano. Una vera e propria scelta di vita.

     

    "La nostra – inizia a raccontare Gionni Pruneti – è una delle tantissime famiglie di agricoltori in Toscana, niente di più semplice: troviamo tracce di noi a San Polo con un certo Pasquale Pruneti, ai primi dell’Ottocento… . Pasquale doveva sfamare otto bocche e ci si immagina facesse l’agricoltore. Non faceva solo questo perché i terreni qua non sono particolarmente favorevoli".

     

    I trisavoli quindi facevano anche i boscaioli: portando carbone o fascine ai mercati fiorentini. "I Pruneti nascono quindi come boscaioli e piccoli agricoltori – prosegue Gionni – quando scendono a Firenze portano anche un po’ dei loro prodotti: un po’ di olio, un po’ di vino, piccolissime produzioni di ortaggi e piante spontanee e officinali".

     

    "Fra queste – spiega – portano a Firenze quella che è la più diffusa dalle nostre parti, il giaggiolo, l’iris: Firenze è legata a doppio filo all’iris, che è nello stemma della città. Che non è un Giglio, come invecetutti… pensano!".

     

    "Un’economia abbastanza povera – rammenta – ma quello che interessava a queste famiglie era sopravvivere, portando il di più in città. Solo a metà dell’Ottocento aprono una bottega a San Polo, quella che oggi si definirebbe la vendita diretta. Perché inizia a nascere anche il centro del nostro paese".

     

    Il giaggiolo cresce, cresce: "L’iris viene negli anni sempre più richiesto da erboristeria e farmacie: fra i più importanti ci sono i frati, l’Officina Santa Maria Novella dove si focalizza la maggior lavorazione di questo tipo di prodotti. I frati di Santa Maria Novella hanno qui a San Polo una Pieve, Sant’Andrea a Linari, che apparteneva all’ordine dei benedettini che raccolgono essi stessi l’iris spontaneo. Avevano capito qui si produceva il miglior iris".

     

    Infatti, a metà dell’Ottocento a San Polo viene realizzata la prima coltivazione di iris; da pianta spontanea a prodotto coltivato: "La nostra famiglia – dicono i fratelli Pruneti – fra quelle di San Polo è una di quelle che decide di fare questo passo, facendo di questo prodotto il cuore dell’azienda. Nasce una economia importante per questa valle, si uniscono zone come Lamole, Montefioralle, un’area del Pratomagno".

     

    “Se il giaggiolo si potesse almeno mangiare…” diceva il nonno di Gionni e Paolo: "Invece – dicono – essendo usato in profumeria, il giaggiolo segue le tendenze e magari passano cinque-dieci anni in cui passa di moda e non viene richiesto. E l’azienda quindi soffre".

     

    "Noi – proseguono all'unisono – siamo arrivati in un momento in cui questa azienda soffriva di una crisi economica dell’iris, intorno a metà degli anni Novanta. Il motivo? Era stata creata una sintesi e l’industria ha iniziato ad usare quel prodotto anziché quello naturale. Al che le aziende che producevano iris, che erano molte meno rispetto a prima (produzione non meccanizzabile), chiudono tutte e i privati che lo facevano come secondo lavoro smettono. E’ la fine della coltivazione dell’iris".

     

    "Io e Paolo – rammente Gionni – ci troviamo di fronte a un paio di scelte: cosa fare di questo iris? Se riusciamo a mantenerlo con le altre produzioni continuiamo a coltivarlo, senza obiettivi commerciali. Per non perdere le talee, i rizomi, altrimenti avremmo perso la nostra materia prima, la nostra storia".

     

    Quindi l'iris non viene lasciato, ma il prodotto forte dell’azienda diventa l’olio: "Il nostro nonno, nato… a iris, ci lasciava volentieri seguire l’olio".

     

    "Io – dice sorridendo Gionni Pruneti – mi sono trovato per la prima volta in frantoio a dodici anni. Chi ha avuto la fortuna di vivere il frantoio a macine in pietra, in cui tutto si faceva tranne che olio di qualità, ha però respirato un clima che oggi è difficile da trasmettere. Era una sorta di festa continua, che non aiutava la qualità ma aiutava a creare una passione. Va anche detto che non era facile produrre con quei macchinari, bisognava conoscerle bene e conoscere bene le olive".

     

    "Quando siamo arrivati a prendere in mano l’azienda – riprende – abbiamo subito detto che quel modo di produrre olio non poteva portarci commercialmente da nessuna parte. Qui qualità si può fare, ma a dei costi importanti: per sopravvivere nel mondo-olio si deve andare in questa direzione".

     

    Quindi, continuano, "abbiamo creato un frantoio moderno dove si possono produrre oli di qualità. Lo abbiamo fatto con delle regole che ci siamo imposti dal primo giorno e siamo convinti che andremo avanti così: parlare sempre di qualità rapportata a un territorio. Non se ne esce".

     

    Quindi non abbandonare le varietà tipiche locali, cominciando a lavorarle in maniera più attenta: da qui il passo successivo sono stati i monovarietali, "abbiamo iniziati a farli nel ’99-2000, quando non erano in uso".

     

    "Io – dice ancora Gionni – avevo imparato che ogni varietà ha una polpa che si comporta in maniera diversa quando vai a lavorarla; poi perché fin da piccoli c’è sempre piaciuto mangiare e quindi quello che era chiaro è che quando si facevano oli diversi a seconda dei campi gli oli cambiavano, in base alla composizione delle varietà. Quindi ci siamo detti: pensiamo di portare avanti questo in maniera più diretta, anche a seconda dei terreni sui quali abbiamo gli olivi".

     

    Arrivando a oggi: "Terreno, varietà, tecnica di estrazione: così creiamo linee diverse di olio. Monovarietali e blend che creiamo con un concetto, dal più leggero al più intenso (cinque linee), che abbiano ognuno delle sfaccettature utili per essere utilizzati in piatti diversi".

     

    "Da lì è nata una nostra regola di produzione – sottolineano – che cerchiamo di lanciare come messaggio aziendale: l’olio non è un semplice condimento ma è un ingrediente. Perché alla fine quello che vogliamo fare è prendere ogni singola varietà del nostro territorio, lavorarla nella maniera adeguata, con la meccanizzazione che deve essere sempre comandata dall’uomo".

     

    "Intanto – concludono – abbiamo proseguito anche con l’iris, cercando di dargli un futuro economico e commerciale. E, siccome ci piace fare un po’ di tutto, abbiamo re-inserito in azienda lo zafferano che era prodotto in queste zone. E un po’ di grano (Senatore Cappelli) che diamo al Pastificio Fabbri. Non siamo industriali, siamo agricoltori: e quando agli agricoltori una cosa piace… la fanno!".

     

    di Matteo Pucci

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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