Se potete andate a vedere Inside out 2 a San Casciano (il film viene proiettato sabato 20 e domenica 21 luglio nel cinema all’aperto dentro le mura, apertura biglietteria ore 21, proiezione ore 21.30 n.d.r.).
Pur non essendo una specialista di film, mi sento di incoraggiare tutti i genitori ad andare a vedere Inside out 2 con i loro figli perché li aiuta a trovare un linguaggio comune semplice per parlare di cose molto complesse.
Io ad esempio ho scoperto tanto chiedendo a mio figlio cose tipo “quali pensi che siano le tue isole? Tu ce l’hai Stupidera? E le tue memorie cruciali (da core)? E il grande segreto nascosto? Etc.”. Non posso che ringraziare il film per avermi dato questi strumenti.
La serie di due film della Pixar è apparentemente incentrata sul “viaggio dell’eroe”, della protagonista Riley che crescendo deve imparare ad integrare un sé più autentico.
Su modello dell’individuazione Jungiana, la storia rappresenta un processo di evoluzione interiore che ha inizio con la percezione di una dissonanza.
L’evoluzione richiede di abbandonare la realtà attuale, a cambiare il nostro modo di vedere le cose per lasciare spazio all’evoluzione di potenzialità ancora inespresse.
Ma la vera protagonista della storia è indubbiamente Gioia, il sé primordiale che deve evolversi ed in questo senso Gioia è quindi anche la figura della mamma ideale.
Gioia è la figura per la mamma ideale nel senso del genitore che tenta di fare “l’aiutante magico” che Roberta Cavolla ipotizza essere il desiderio di ogni bambino.
Il ruolo di aiutante magico rientra in fondo in molti ruoli che il genitore assume via via: da Babbo Natale, all’elfo, alla fatina dei dentini, ma anche grillo parlante, angioletto sulla spalla etc.
Avere Gioia al comando della consolle da sola è lo stato immaginario lacaniano puro, di perfetta fusione dell’essere tra mamma e bambino, a cui si aggiungono presto altre emozioni primarie: paura, disgusto, rabbia.
Nel mondo di Inside out queste sono le emozioni primarie che servono lo scopo di preservare la specie; il ruolo di tristezza è invece piè complesso ed il primo film si centra sul viaggio iniziatico che Gioia/mamma deve intraprendere per capire ed accettare il valore della tristezza per elaborare le perdite e lo sviluppo dell’empatia.
In Inside out 2 la pubertà viene descritta come un’ulteriore evoluzione di Riley e Gioia che adesso devono fare conto con nuove emozioni invidia, imbarazzo, noia e ansia che prendono spunto nella loro raffigurazione dall’etimologia dei termini.
IMBARAZZO
Il termine spagnolo “embarazo” (letteralmente: ingombro emotivo) è figurato come il ragazzone che è così ingombrante da occupare tutta la consolle.
ENNUI
Il vero nome di Noia è “Ennui,” un termine francese che si riferisce specificamente alla noia esistenziale, quella sensazione di costante attesa e monotonia che lascia le persone perennemente insoddisfatte.
Non a caso l’inseparabile strumento di Ennui è il cellulare con cui comanda la consolle.
INVIDIA
Termine che deriva dal verbo “invidere” (guardare male): è piccola di statura, deforme (le manca un dito in ogni mano) ed il viso occupato da due enormi occhi.
NOSTALGIA
È l’ultima delle “nuove” emozioni che emergono nella vita di Riley con l’arrivo dell’adolescenza deriva dall’unione delle parole greche “nostos” (ritorno) e “algos” (dolore), un sentimento che combina sofferenza e malinconia con un pizzico di piacere, che sembra promettere Inside out 3.
ANSIA
Sempre dal latino ango (soffocare, stringere), trasferisce l’idea di una situazione in cui ci si sente soffocare, bloccati e intrappolati rappresentato nel film al suo apogeo nell’attacco di panico.
Ansia è la protagonista del secondo film come antagonista di gioia soprattutto come ansia sociale, che si manifesta soprattutto nella paura del rifiuto dominano il comportamento in un sentimento di inquietudine crescente.
Riley e Gioia devono attraversare insieme un percorso di crescita in cui imparano ad accettare il diverso da sé e accettare tutte le parti della nuova persona perché importanti per lo sviluppo del sé sconfiggendo alla fine la tirannia di ansia che sola vuole dominare la console.
Sia Riley sia Gioia si trovano in quella che potremmo chiamare con Ogden la “posizione transizionale” in cui si può esperire e integrare nuove parti del sé in un nuovo sé più autentico: da “io sono una brava ragazza” o “vengo dal Michigan” (invece che dal Minnesota) a un essere complesso e più autentico che rispecchia tutte le sfaccettature del sé che non reprime più le memorie nel subconscio ma le armonizza.
Lo stesso percorso però deve essere compiuto dalla Gioia come mamma ideale.
Un segnale che Gioia non sia solo un’emozione lo prova il fatto che lei stessa provi emozioni come la tristezza, la frustrazione etc.
Quale mamma non ha avuti gli stessi momenti di scoraggiamento di gioia? Eppure alla fine è proprio lei che alla fine viene richiamata alla consolle.
Più dei messaggi dati dal film, quello che lo rende veramente geniale e, secondo me, davvero imperdibile sia per i figli che per i genitori è il modo di porli: l’ingrediente fondamentale di questa parabola sulla crescita è lo humor.
La musica, i colori, l’ironia nell’usa dei media (e.g. ‘o pauchies’ bidimensionale come deus ex machina) sono tutti tesi a ricordarci che il film è soprattutto una favola divertente, aiutandoci a vedere lo humor nelle nostre stesse emozioni e insegnandoci alla fine a non prenderci troppo sul serio sia come genitori sia come figli.
Angela Matilde Capodivacca
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