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sabato 20 Aprile 2024
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    Il dottor Giovanni Redegalli in pensione dopo 40 anni in servizio (e 30 a San Casciano): il suo saluto alla comunità

    "Essere un buon medico non vuol dire essere solo un buon tecnico, un buon uomo di scienza, ma anche avere un’umanità e una disponibilità ad ascoltare. Scienza e coscienza"

    SAN CASCIANO – Da sabato 29 ottobre per il dottor Giovanni Redegalli, “storico” medico di famiglia nel comune di San Casciano, è iniziata un’altra esperienza di vita. Dopo più di quaranta anni di servizio è infatti arrivato il momento della pensione.

    Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata a metà fra ricordi e saluti, esperienze e racconti: perché quando va in pensione un medico di famiglia è come se andasse in pensione un pezzo di vita di un intero territorio.

    Dottore, dopo quanti anni da medico inizia la sua pensione?

    “Più di quaranta; e più di trenta nel comune di San Casciano, nella frazione di Mercatale in particolare. Nasco come chirurgo, otorino, chirurgia plastica, ho fatto un po’ a tutto campo la medicina. Sono stato anche medico nel carcere di Sollicciano: poi sono entrato nella medicina generale. Sono stato per tanti anni anche il coordinatore di tutti i medici di zona e devo dire che è stato molto difficile separarmi da loro. Non tanto per me ma perché… nessuno lo voleva fare. E’ stato difficile riuscire a tirare fuori un nome, comunque sarò sempre disponibile a dare un supporto a tutti i miei colleghi”.

    In questi ultimi anni saranno stati anche momenti difficili a causa della pandemia.

    “L’ho sempre combattuta in prima fila, non sono mai stato neanche un giorno a casa, sempre presente in ambulatorio. Non ho mai saltato un giorno. Sono sempre stato presente anche con i miei colleghi, come d’altronde chi ha un ruolo di coordinamento e responsabilità non può non fare. Nel tutoraggio dei miei giovani colleghi ho sempre cercato di insegnare innanzi tutto la correttezza nei confronti delle persone, sia dei pazienti ma anche degli stessi colleghi, cosa che purtroppo spesso oggi non s’insegna più. Invece è importante, perché essere un buon medico non vuol dire essere solo un buon tecnico, un buon uomo di scienza, ma anche avere un’umanità e una disponibilità ad ascoltare: paziente e colleghi. Ci vogliono la scienza e la coscienza, questo fa veramente un buon medico”.

    A destra il dottor Redegalli riceve il Premio Machiavelli, per l’impegno durante la pandemia: settembre 2021, Parco del Poggione

    Lei poi ha sempre tenuto anche al gioco di squadra, giusto?

    “Nel tempo sono stato anche presidente della Cooperativa del Chianti: quando si dirige qualcosa l’importante è non mettersi a fare il capo: ho sempre detto che la nostra era una tavola rotonda. Questo ha aiutato, tanto che la nostra Aggregazione Funzionale Territoriale (AFT) a livello regionale è tra le migliori in assoluto. Su centoventi siamo tra le primissime per i risultati. Siccome usiamo denaro pubblico, va usato con oculatezza: ovvero richiedere esami che siano corretti, sempre con l’obiettivo di dare tutto al paziente. E tenere sempre presente che ciò che usiamo, lo ripeto, è denaro pubblico. Questo vuol dire essere un buon medico a tutto campo: per cui scienza, coscienza, disponibilità e responsabilità. Questo ho sempre detto, insegnato e seguito. E devo ringraziare molto i miei colleghi. Non è solo bravo chi risparmia, ma chi ottiene la riduzione dei ricoveri, la riduzione degli accessi al pronto soccorso. Allungando la vita nel miglior modo possibile ai pazienti”.

    Dottore, quando saremo ufficialmente fuori dalla pandemia?

    “E’ una domanda difficile. Sicuramente non possiamo tenere le persone chiuse in casa, però anche dare il “tutto libero” non mi trova d’accordo. In alcuni posti la mascherina andava mantenuta”.

    Per esempio?

    “Nei supermercati, nei cinema, nei teatri, sui mezzi pubblici. Insomma, nei luoghi particolarmente affollati, dove si facilita la diffusione del virus”.

    Cosa le hanno detto i suoi pazienti quando hanno saputo che li avrebbe lasciati per andare in pensione?

    “Devo semplicemente ringraziarli tutti, è stato un susseguirsi di persone che sono venute a ringraziarmi. Sono rimasto commosso. E non solo i pazienti, ma anche tutti i colleghi che mi hanno fatto sentire la loro vicinanza. E se c’è riconoscenza vuol dire che hai lavorato bene, come gli alti del resto. Tra i tanti messaggi arrivati dai vari coordinatori, gliene leggo uno per tutti: Un pezzo di storia, di valori, di medicina che va verso altre mete. Goditi la tua famiglia, i tuoi hobby. Un caro abbraccio Antonio“.

    Una nota negativa c’è?

    “Sì. Come medicina generale e territorio negli ultimi tempi siamo stati abbandonati a noi stessi, ci siamo trovati a combattere il nemico (Covid-19) a mani nude. Non ci hanno aiutato né le Asl, né i Comuni né altro. Le istituzioni sono state, e sono ancora oggi, assolutamente latitanti. Io sono un uomo obbiettivo, e le cose le devo dire. Ringrazio lo spirito di sacrificio che hanno avuto i medici: come guardia medica, come 118, i colleghi medici di base. Che veramente ci hanno messo l’anima e sono morti rimanendo al loro posto. Tra le altre cose, in questa pandemia noi non rientriamo neanche tra i morti sul lavoro”.

    Adesso a cosa dedicherà il suo tempo?

    “Prima di tutto alla mia compagna, ai miei cani e alle mie passioni, che sono infinite: mi piace andare a caccia, a tartufi, dipingere, scattare fotografie. Insomma ho tante cose in programma e sono certo che non mi annoierò!”.

    Ringraziamo il dottor Giovanni Redegalli per questa chiacchierata. E chiudiamo riportando anche ciò che ha appeso alla porta del suo ambulatorio, un pensiero ai suoi assistiti di tutti questi anni: “Ringrazio i pazienti per avermi aiutato ad aiutarli a curarli nel miglior modo possibile”. 

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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