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venerdì 29 Marzo 2024
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    Pino crollato nel Piazzone, abbiamo chiesto a un esperto: “Forse la causa da cercare in un marciume radicale”

    "Queste condizioni si innescano spesso a seguiti di lavori di scavo effettuati nell'intorno delle radici, e ne mostrano i risultati anche dopo 10 anni dalla esecuzione"

    SAN CASCIANO – Premessa, doverosa e necessaria: le informazioni che abbiamo raccolto sono basate su una analisi esclusivamente fotografica.

    E a far chiarezza su quanto accaduto la sera di mercoledì 29 luglio nei giardini del Piazzone, dove è crollato il pino più grande, causando paura e due feriti, saranno gli organi competenti.

    Ma a distanza di giorni abbiamo deciso di porre alcuni quesiti a uno dei dottori forestali piĂą conosciuti del nostro territorio. Anche per dare, come giornale, un contributo pubblico su una vicenda che ha toccato tutti da vicino.

    Tecnico che, precisando quanto sopra, si è cimentato in una analisi delle foto che gli abbiamo fornito. Ed ha espresso valutazioni basate anche sulla lunga esperienza in materia. Per iniziare a ragionare su quello che è accaduto. E, soprattutto, su come comportarci in futuro.

    “Da quanto posso vedere dalle foto – ci dice – quindi saranno considerazioni “superficiali”, mi sembra che la causa sia da ricercare in un problema a livello dell’apparato radicale: la pianta non si è, come a volte si dice, “scodellata”, cioè è caduta con parte del pane di terra che sottende le radici. Ma pare che qualche grossa branca radicale abbia ceduto: forse a causa di fenomeni di marciume”.

    “Queste condizioni – prosegue – si innescano spesso a seguiti di lavori di scavo effettuati nell’intorno delle radici, e ne mostrano i risultati anche dopo 10 anni dalla esecuzione”.

    “Si tratta – spiega ancora – di una problematica difficilmente diagnosticabile, in quanto l’analisi degli apparati radicali ad oggi è fattibile con alcuni strumenti elettronici, ma è molto condizionata dal substrato di collocazione dell’albero (cioè se non si opera in situazioni di “pieno campo” non si hanno risultati attendibili)”.

    “Le prove ergonomiche – riprende – chiamate anche “prove di trazione”, tramite le quali si applica una trazione controllata al fusto e si verifica la resistenza della fibra legnosa, possono dare alcune indicazioni su possibili problematiche radicali. La semplice indagine visuale non potrebbe dare informazioni in merito in quanto, come sembra di osservare, l’albero non dava alcun segno di deperimento”.

    “Ancora una volta – tiene a dire – è ribadita l’importanza di conoscere la storia della pianta, in quanto, specie nei luoghi pubblici, nel tempo si sono succeduti scavi su scavi, perpetrati senza alcun riguardo degli apparati radicali”. 

    “Difficile dire quindi – rimarca  l’esperto – se il problema era diagnosticabile (e non voglio fare alcuna affermazione nell’uno o nell’altro senso, stante l’indagine in corso): è forse piĂą opportuno, a mio giudizio, valutare se oggi non sia il caso di procedere ad una graduale sostituzione delle alberature”.

    “Che – spiega – poste a dimora 40, 50, 60 anni or sono, sottoposte a stress continui sia per l’inquinamento atmosferico che per la gran quantitĂ  di lavori in sotterranea eseguiti nel tempo (fognature, acqua, gas, fibra e successive riparazioni) unitamente al cambiamento climatico in corso, non possono mostrare quella resilienza che ci si potrebbe aspettare”.

    “Di pari grado – conclude – la conservazione di alberi a rischio è, se decisa da una amministrazione pubblica, un investimento di non poco conto”.

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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