FABBRICA (SAN CASCIANO) – C’è chi sostiene che i tedeschi che hanno ucciso dodici persone a Pratale (Barberino Tavarnelle) il 23 luglio 1944, siano gli stessi che il giorno successivo, il 24 luglio 1944, hanno fucilato alla fornace di Fabbrica (San Casciano) Bruno Viviani (21 anni), Brunetto Bartalesi (34 anni), Giuseppe Vermigli (65 anni).
Riuscì a salvarsi Carlo Viviani (59 anni), che si finse morto dopo essere stato ferito di striscio alla testa e alle mani. Pare che a deviare il colpo sia stata la fede nuziale. Ma Carlo da una tale tragedia non si riprese mai, morì dopo soli quattro anni.
Tutti gli anni a Fabbrica si tiene una commemorazione, a pochi passi dal cippo che riporta la data (sbagliata, il 23 invece che il 24 luglio 1944): anche quest’anno nel pomeriggio è stata officiata una Santa Messa da padre Rosario Landrini, alla presenza di parenti delle vittime e cittadini.
Presenti anche le istituzioni, con l’assessora alla cultura del Comune di San Casciano, Maura Masini, con il gonfalone; e Massimiliano Pescini, consigliere regionale della Toscana.
Quest’anno però c’è stata una novità: per la prima volta, grazie a Gabriele Sani, falegname di Montefiridolfi, si sono raccontate anche altre storie vissute in quei giorni su questo crinale.
Sani non è nuovo ad occuparsi di memoria e del passaggio del fronte: ha scritto infatti un dramma teatrale in due atti, dal titolo “Babbino, babbino un ci lasciare”, tratto dalle testimonianze dei residenti che qui hanno vissuto il passaggio del fronte nel 1944.
La “prima” venne messa in scena nell’aprile 2018 al circolo Acli di Montefiridolfi, mentre l’ultima rappresentazione è stata nell’aprile scorso, al Teatro Niccolini di San Casciano, per gli studenti delle scuole elementari e medie.
Stavolta, insieme ai giovanissimi Andrea Giannozzi, Agata Sani, Margherita Calosi, Gregorio Sani, ha messo su un monologo scritto per l’occasione.
Su un lenzuolo bianco sono state disegnate le località di Montefiridolfi, Travignole, Poggetto e Fabbrica. Sopra, delle croci in metallo.
Si tratta di località dovevi sono state altre morti, causate dalla guerra e dal passaggio del fronte. Morti ignorate da molti.
Gabriele Sani ha voluto così ricordare coloro che ha definito “i dimenticati”: “I vecchi di allora, non è che non sapessero cos’era la guerra – ha detto rivolto ai presenti, dopo avere aperto quel lenzuolo con le località disegnate – A Pratale, a Fabbrica, una croce un cippo sono stati messi: ma quante persone, vittime innocenti della guerra, non hanno una croce, un cippo a futura memoria?”.
“Qualche nome lo voglio fare – ha proseguito – non tutti purtroppo. Emilia Landi qui a Fabbrica, mentre andava a fare l’orto con Agostino Lotti e Teresa Viviani, passando in un campo minato, innescò l’esplosione di una mina. Le schegge dell’ordigno la travolsero e il giorno dopo morì all’ospedale di Tavarnelle”.
“Sempre il 24 luglio del ’44 – ha continuato – Gino Bini e la moglie uscirono dal rifugio di Travignole per andare a dar da mangiare alle bestie: Gino fu raggiunto da un colpo di fucile, ferendolo a morte”.
Un vero e proprio racconto dei “dimenticati”, di coloro che sono morti per cause direttamente legate alla guerra. O sono stati proprio uccisi.
“Poco prima nell’abitato di Montefiridolfi – sono state ancora le parole di Sani – sempre in questo giorno, Guglielmo Bertelli (nonostante gli fosse stato detto che fosse pericoloso) uscì dal rifugio per andare a dar da mangiare ai conigli. Ma una volta fuori, fatti pochi passi, fu freddato a morte”.
Una ricostruzione puntuale e dettagliata quella di Sani: “Isola Dei, che abitava poco distante dalla piazza di Montefiridolfi, sentì persone che gridavano. Si affacciò alle scale di casa e vide suo figlio Alfredo che si opponeva a consegnare il suo bove a dei soldati tedeschi. Questi gli puntarono così una pistola alla gola. Isola dallo spavento svenne, cadde in terra e non si riprese più. Morì tre giorni dopo”.
“Spero e in parte si sta già facendo – ha terminato così Gabriele Sani – quando si parla di storia, di non focalizzarsi sulle date da imparare a memoria, ma anche di raccontare vicende come queste. Per far capire meglio il vero valore della libertà: e il sacrificio di tante persone innocenti che ce l’hanno donata”.
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