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sabato 20 Aprile 2024
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    Da una “buchetta” del vino sulla facciata della Fattoria Torrigiani a Vico d’Elsa… una storia antica

    Siamo partiti da questa apertura, oggi murata, per ripercorrere, insieme a Raffaello Torrigiani, la storia di una famiglia che si è intrecciata con quella di Firenze, del commercio e del vino

    VICO D’ELSA (BARBERINO TAVARNELLE) – Anche Vico d’Elsa ha la sua “buchetta” del vino: si trova lungo la strada delle Stallacce, nella proprietà della Fattoria Torrigiani.

    Per chi non le conosce le “buchette”, sono piccole aperture dalle quali si poteva acquistare un fiasco di vino. Che veniva passato attraverso il finestrino, che principalmente era ad altezza di braccio.

    Di queste “buchette” si occupa l’Associazione Buchette del Vino, nata a Firenze nel 2015 con lo scopo di censirle, studiare, documentarle. Farle conoscere e salvaguardarle: a oggi ne sono state referenziate circa 280, e la “caccia” continua.

    Di questa “buchetta” a Vico d’Elsa è a conoscenza Raffaello Torrigiani, che ci ha raccontato un po’ della storia (a dir poco affascinante) della famiglia.

    “Gli anni della fine del 1200 – inizia – furono, a Firenze, particolarmente fiorenti per gli affari dei vinattieri. Ogni anno entravano nelle porte cittadine tra le 55.000 e le 65.000 “cogne” di vino (ogni cogna erano 500 litri)”.

    “Si contavano – prosegue – circa una novantina di iscritti all’Arte minore dei Vinattieri; e tra loro raggiunse una particolare fama Ciardo Torrigiani, proveniente, come tanti suoi colleghi, dalla campagna pistoiese”.

    “Il quale – prosegue il racconto – giunto in città, si iscrisse all’Arte nel 1280, avviando una “cella” (cantina) di fronte all’attuale mercato di San Lorenzo, all’angolo di via dell’Ariento. La fama raggiunta è ricordata da una lapide, tutt’oggi esistente, riportante la dicitura “Canto della Cella di Ciardo”, ubicata appunto all’angolo fra via Sant’Antonino e via dell’Ariento”.

    “Nel volgere degli anni – la storia va avanti – i Torrigiani cominciarono a figurare nei pubblici uffici fiorentini: già il pronipote di Ciardo, Benedetto detto Betto, nel 1380 resse la carica di Gonfaloniere di Giustizia, e quindi sostenne l’ufficio di Priore nel 1402. Cinque membri della famiglia raggiunsero il priorato per complessive sei volte. L’ascesa della famiglia coincise nel 1400 con l’uso, in voga a quell’epoca da parte delle diverse famiglie mercantili fiorentine, di estendere le proprie attività commerciali in Europa”.

    “E in particolare – ricorda – i Torrigiani aprirono un banco a Norimberga, in Germania, trasferendo lì parte della famiglia ed iniziando una florida attività che durò circa due secoli. Nel 1630, a causa della “guerra dei 30 anni”, particolarmente catastrofica per l’economia tedesca, la famiglia decise di liquidare le proprie attività e rientrare in Toscana, investendo il cospicuo ricavato in vigne e terreni nella campagna fiorentina”.

    Da qui, l’arrivo a Vico d’Elsa?: “La Fattoria di Vico d’Elsa – spiega – entra tra i possedimenti della famiglia a fine del 1500, portata in dote da una Capponi. E successivamente ampliata nella sua estensione: sia per alcuni matrimoni, che per successive acquisizioni di possedimenti ecclesiastici, fino a raggiungere una superficie di circa 1.000 ettari, con oltre 60 poderi”.

    Si arriva… ad oggi: “La Fattoria – sono ancora parole di Raffaello Torrigiani – si estende per circa 400 ettari. E si compone di terreni seminativi collinari e di pianura per oltre il 45% della superficie, il 10% è rappresentato da impianti arborei (30 ettari di vigneto specializzato), mentre la restante superficie è costituita da boschi”.

    Ma veniamo alla “buchetta” del vino che si trova sulla facciata della Fattoria, nella strada delle Stallacce: “Ne siamo a conoscenza – risponde Raffello – Purtroppo negli anni sono stati eseguiti dei lavori e oggi rimane solo la cornice in pietra, mentre l’apertura è stata murata con dei mattoni. Al di là? E’ rimasta la cantina”.

    Incuriositi dalla storia raccontataci da Raffaello, della fama di Ciardo Torrigiani (che a Firenze aveva una taverna vicino alla chiesa di San Lorenzo) abbiamo trovato conferme negli scritti di Guido Carocci ne “L’Illustratore fiorentino” del 1911.

    Dove scriveva: “La cella di Ciardo era costruita da una specie di grandiosa loggia sostenuta da pilastri ottagonali dove erano incisi gli stemmi del Comandatore. Prima che la casa dov’era posta venisse completamente trasformata, ricordo di aver veduto i resti di questa interessante costruzione che aveva tutti i caratteri del XIV secolo”.

    Cella di Ciardo che fu incendiata e distrutta, come si legge nella “Storia della Repubblica di Firenze” (1876) di Gino Capponi: “… andavano per la terra, avendo da prima arsa la casa d’un Ciardo vinattiere ch’era stato decollato come seguace di Giorgio Scali”.

    Grazie a queste indicazioni ci siamo recati a Firenze, in via Sant’Antonino, dove sull’angolo via dell’Ariento abbiamo fotografato la targa in marmo con la scritta “Canto della cella di Ciardo”.

    In più, grazie al titolare del negozio di articoli in pelle “I’ Mago”, in via dell’Ariento, all’interno del negozio abbiamo fotografato i pilastri ottagonali, ancora visibili, a cui fa riferimento Guido Carocci.

    Sono due colonne i cui capitelli sono decorati a fogliame: su uno si notano due cani che corrono, l’altro è decorato con uno stemma, due bastoni pastorali incrociati e tre rose oltre a un calice istoriato. Simbolo dell’Arte dei vinattieri. 

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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