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venerdì 29 Marzo 2024
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    Osnabruck 1943. Il diario di prigionia di Fernando Creati, deportato in Germania

    A Marcialla si riscoprono le memorie del soldato fatto prigioniero, conservate dal fratello Luciano

    MARCIALLA (BARBERINO VAL D'ELSA) – Il secondo conflitto mondiale ha lasciato i suoi segni, gravi e dolorosi, anche nelle terre del Chianti e della Valdelsa. Ma c'è uno strumento invincibile che, nonostante il trascorrere del tempo, permette alle amministrazioni comunali e alle comunità di Barberino Val d’Elsa, Greve in Chianti, San Casciano e Tavarnelle di valorizzare, conservare e diffondere il valore del sacrificio di chi ne fu coinvolto. È il ruolo e il significato della libertà e della democrazia che nascono dal percorso collettivo della memoria.

     

    Luciano Creati di Marcialla tiene stretto fra le mani il diario ritrovato del fratello Fernando, arrestato a Tortona e deportato nei campi di concentramento in Germania nel settembre del 1943. Dopo la tappa a Meppen, al confine con l’Olanda, il feroce destino della guerra condusse il prigioniero a Osnabrück, città della bassa Sassonia.

     

    E’ qui che il giovane ventenne originario di Marcialla, frazione di Barberino Val d'Elsa, trascorse due anni di sofferenza, angoscia, dolore e privazioni e da sopravvissuto nel luglio del 1945, grazie alla liberazione degli americani, riuscì a tornare a casa.

     

    Di quel terribile periodo segnato da insonnia, sogni, fame e lavori forzati nei campi e nelle fabbriche belliche dei nazifascisti esiste un documento, testimonianza di grande valore storico, che racconta, giorno per giorno, le condizioni disumane in cui viveva Fernando Creati, appeso al solo filo degli affetti e sostenuto dalla speranza di riabbracciare i propri cari.

    “Primi contatti con la popolazione tedesca. Dal bambino che appena balbettava le prime parole – scriveva Fernando – al canuto vecchio scorgemmo, appena arrivati, nello sguardo torvo l’odio che in cuore cova rivolto a noi poveri innocenti, e sulla bocca di ognuno suona l’aborrita parola “traditori”". Il diario della prigionia è l'occasione per ripercorrere il viaggio nella sofferenza di un uomo che perse progressivamente se stesso per identificarsi in un numero “fu in questo campo che ci fu sostituito il nome con un numero e a me fu dato il 58428".  

     

    Fernando descrive le sue difficili giornate fatte di duro lavoro e fame che divoravano lentamente il fisico stanco e provato dei prigionieri. “Lunghe dodici ore al giorno davanti ad un banco di lavoro erano pesanti – annota – il vitto era misero 250 gr di pane e un po' d’acqua e rape al giorno, era questo il nutrimento che avevamo…e quanti e quanti nel breve tratto di strada che separava il campo della fabbrica siamo caduti per terra per la debolezza. Si vedevano questi poveri essere tante volte sotto la frusta od il bastone del crudele polizai, uomo senza cuore, senza coscienza che non aveva nessuna commiserazione per noialtri”.

     

    Il diario racconta dell’arrivo di un fascista, giunto al comando del campo di concentramento, a causa del quale gli atti di sopraffazione e violenza si inasprirono, rendendo inaccettabile la sopravvivenza dei deportati. “Da quel giorno – ricorda – incominciò lui a fare quel che gli antichi barbari facevano agli schiavi, non un minuto di libertà solo lavoro nella fabbrica e dura disciplina nel campo”.

     

    E cita alcuni casi. “Quello che più ci ha colpiti è stata la diminuzione dell’ormai misera razione giornaliera e una rivista a tutto quello che avevamo. Così pensavamo a quei genitori che ci hanno con immensi sacrifici portati ad essere uomini ed ora per volontà degli uomini così maltrattati, e che colpa ci si domanda abbiamo mai commessa solo che puro e leale il nostro dovere di soldato”.

     

    In una delle esperienze più drammatiche parla della presenza del “barbaro fascista che all’entrata del campo ci rovistava minuziosamente togliendoci quel per noi prezioso involto seguito da una scarica di manganello, fino a fare cadere il colpito stramazzato a terra”.

    Nel diario ogni parola ha un ‘peso’ che grava sul cuore del prigioniero. Ogni pagina, descritta così minuziosamente, diventa una sequenza di immagini tangibili per il lettore. “Giovani che avevano perso ogni figura di uomo per rivestire quelle di scheletro che cammina e provati dalla privazione di tutto, dalla fame, dal lavoro, e da tutto ciò che una mente umana può immaginare, la morte colla sua falce cominciò a mietere quei fiori di un tempo pieni di vita diventati ora appassiti e incapaci di tutto. Quale strazio per noi vedere i nostri compagni di sventura morire per più motivi, ma quello principale della fame senza potere loro dare nulla, solo che parole di conforto e così le fibre più deboli lasciarono ad uno ad uno la loro giovane vita in questa misera terra di gente barbara e senza cuore per chi soffre solo avida di comandare”.

    La speranza di Fernando appare come una luce flebile sempre accesa tanto che nel diario alcuni aneddoti, nonostante l’angoscia quotidiana, traducono il forte desiderio di libertà in un sentimento positivo di gratitudine e apertura alla vita. Dalla forza e dal coraggio di vivere nasce persino una canzone.  

     

    “Un tiepido sole veniva a scaldare le nostre membra illanguidite. Nei panni nascevano i fiorellini, le piante si rivestivano di verde sugli alberi gli uccellini cantavano le loro svariate melodie allietandoci un po' ma nello stesso tempo gli invidiavano pensando che loro erano felici e liberi mentre noialtri sempre chiusi fu così che dal canto di questi uccelletti che nacque nel campo una canzone che diceva fra l’altro “Forse un giorno salterò da questa rete maledetta”.

    In occasione della Giornata della Memoria i Comuni di Barberino e Tavarnelle  leggono e rileggono le parole di Fernando nel suo diario di prigionia, ripercorrono la storia attraverso i ricordi di Luciano, riaffermano il senso profondo della vita e della dignità umana e lo trasmettono alle nuove generazioni con azioni, progetti e iniziative, come il viaggio della memoria con gli studenti dell'Istituto comprensivo Don Milani, sostenuto dalle amministrazioni comunali, mirati a tenere viva la memoria dei tragici effetti dei conflitti mondiali e delle guerre di tutti i tempi, compresi quelli contemporanei.

    Le iniziative proseguono in occasione della Giornata della Memoria nei territori del Chianti. Al Cinema Olimpia di Tavarnelle Val di Pesa è prevista la proiezione del film “Un sacchetto di biglie” di Christian Duguay, tratto dal celebre romanzo di Joseph Joffo pubblicato nel 1973 ed ambientato nel contesto della Seconda Guerra Mondiale. La proiezione si terrà oggi domenica 28 gennaio e lunedì 29 gennaio alle ore 21.30.

     

    Una proiezione speciale è in programma per i ragazzi dell'Istituto Comprensivo Don Milani lunedì 29 gennaio alle ore 10:15.  Dopo le celebrazioni di Greve in Chianti che in questi giorni si sono tenute con il coinvolgimento degli studenti, dei docenti e delle famiglie nelle piazze del capoluogo e delle frazioni, anche al Teatro Niccolini di San Casciano oggi va in scena una performance "Per non dimenticare" alle ore 17 messa in piedi da Laboratorio Amaltea, drammaturgia e regia Teatro dei Passi di Tiziana Giuliani e dal Collettivo Centro Danza Chianti per le coreografie di Angela Placanica e Genni Cortigiani. Ingresso libero. Lunedì 29 è prevista una matinée per le classi terze dell’Istituto Ippolito Nievo di San Casciano.

     

    di Redazione

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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