BARBERINO TAVARNELLE – La questione del trasferimento della pH Srl dalla Sambuca a Calenzano ormai da giorni è presente quotidianamente sulle pagine del Gazzettino del Chianti.
Che sta seguendo questa vicenda con la massima attenzione. Che da sempre dedichiamo ai temi del lavoro e del rispetto dei diritti dei lavoratori.
E vogliamo dare voce proprio a loro. Accogliendo una serie di testimonianze che ci raccontino come stanno vivendo questo momento. Così difficile.
Sarà una sorta di racconto “a puntate” nel quale, di volta in volta, daremo voce a lavoratrici e lavoratori.
LEONARDO: “NON SIAMO NUMERI, CHIEDIAMO RISPETTO”
“Mi chiamo Leonardo e sono un dipendente pH da poco, pochissimo tempo, nemmeno un anno.
Nonostante la mia breve esperienza in azienda però sin dal primo giorno ho avuto la sensazione di entrare in una grande famiglia.
Qui, infatti, le persone con cui lavori diventano la tua forza e risultano il vero valore aggiunto di questa azienda che è stata resa grande sia dalle professionalità ma soprattutto dal lato umano di coloro che la compongono.
Ho trovato un gruppo di lavoro capace di sostenersi sia a livello professionale che personale, pronto ad andare oltre le proprie mansioni per andare incontro alle esigenze aziendali, perché l’azienda era la nostra casa, eravamo noi (sì, anche se sono qui da poco mi includo anche io).
Scrivo al passato perché ormai “il giochino si è rotto”. La totale mancanza di rispetto che i vertici aziendali hanno riservato a istituzioni e lavoratori nella vicenda trasferimento non è ammissibile.
Non scriverò, anche io, di nuovo, tutte le grottesche vicende che ci hanno portato a questo punto perché mi viene il sangue amaro solo a ripensarci.
Voglio dire solo una cosa. Noi non siamo unità. Non siamo numeri. Siamo lavoratori, siamo persone e nel progetto pH 2.0 dobbiamo essere tutti coinvolti; invece, ad oggi si sta sbattendo la porta in faccia ai colleghi che vivono nel Chianti e nel senese e ciò non può essere accettato passivamente in nome del profitto o perché “eh ma funziona così”.
Una azienda che riconosce il valore del lavoro avrebbe già almeno presentato le misure per “mitigare il disagio” (come dicono loro). Invece siamo qui ancora oggi a chiederle a gran voce, non ci bastano i comunicati stampa in cui viene detto che “faremo il possibile…”.
Il possibile doveva essere già stato fatto invece per ora ci avete solo preso in giro.
Chiediamo rispetto”.
DAMIANA: “QUI DA 23 ANNI, LA STO VEDENDO CROLLARE”
“Sono 23 anni che sono in pH (la mia famiglia) fatta di persone che hanno dato tutto per farla crescere.
Ora la sto vedendo crollare piano piano, colleghi che se ne vanno, colleghi che non riescono a lavorare serenamente, colleghi che si sentono male, questa non è la nostra pH questa è diventata un’ azienda instabile, viscida, un’azienda che non riconosco più, colleghi che non riconosco più.
Mi piange il cuore vedere tutto questo scempio… . Ma in che mondo viviamo? Quale sarà il futuro dei nostri figli con queste multinazionali?
Sono veramente delusa da tutto questo e lotterò per me e per i miei colleghi anche solo per il rispetto che questa azienda deve avere per le persone”.
SAMUELE: “MI SONO SENTITO TRATTATO COME UN CALZINO LOGORO”
“Lavoro in pH da poco più di 2 anni, un turbolento periodo ricco di cambiamenti nella mia vita, e nelle ultime settimane mi sono sentito trasformato da lavoratore in un asettico numero da incasellare come probabile danno collaterale in seguito alla decisione di TÜV trasferire la pH srl.
Sono entrato in azienda come stagista a 3 mesi dal termine degli studi e subito sono stato conquistato dal calore e dalla coesione di chi mi circondava a tutti i livelli della gerarchia, come in una vera e calorosa famiglia.
In appena qualche settimana diversi colleghi erano già diventati amici e confidenti, un fatto ben oltre le più rosee aspettative dei primi giorni di lavoro, e questo clima mi ha convinto a restare ben oltre i 6 mesi di tirocinio nonostante ogni giorno debba affrontare un trasferimento casa-lavoro non indifferente dato che abito alcuni chilometri a sud di Siena.
In questi due anni mi sono alzato tutte le mattine con il sorriso, spinto dalla voglia di lavorare in un bell’ambiente, e ritengo di essere cresciuto come lavoratore e ancor di più come persona, mi sono profuso nel lavoro più di quanto potessi prevedere perché grazie a chi mi circondava io credevo nell’azienda di cui avevo la fortuna di far parte ed ero incoraggiato a volere il suo benessere.
Oggi non è più così, quella voglia si è quasi spenta.
Dopo qualche crepa sviluppata a ottobre 2024 dalle prime voci di trasferimento, questa situazione quasi idilliaca si è infranta contro uno schermo che trasmetteva un soliloquio dell’amministratore delegato oltre il termine dell’orario di lavoro di molti di noi.
Un irrispettoso diversivo di bugie davanti alla platea di istituzioni e sindacati che si adoperavano alla ricerca di alternative e soprattutto verso noi lavoratori per la mancanza di ogni traccia di trasparenza, mentre dietro le quinte si orchestrava lo spostamento a Calenzano curandosi esclusivamente dell’impatto economico e fregandosene altamente di quello sociale di tale scelta da qualcuno definita “dogmatica”.
Io – come molti altri – mi sono sentito trattato come un calzino un po’ logoro: finché regge bene, poi se ne prenderà uno nuovo e chi s’è visto s’è visto.
Nessuno che ci abbia messo veramente la propria faccia, nessuno che abbia previsto qualche proposta a margine -anche banale- per disinnescare gli animi. Il niente più totale.
Anzi, si sono interposte persone che hanno avuto l’ardire di domandare se noi continuassimo a credere nell’azienda nonostante tutto. Un triste e brutto spettacolo, per essere eufemistici.
Tutto questo mi lascia insultato nel profondo, schifato dalla vicenda per la mancanza di trasparenza, pieno di sfiducia nei confronti dell’azienda e soprattutto della lungimiranza di determinate logiche.
A cosa serve lasciare inascoltate le obiezioni mosse dalle “prime linee”, concentrandosi sullo smantellare quanto di buono c’è nella propria azienda? Non credo ci sia altro da aggiungere”.
SILVIA: “SONO ARRABBIATA, DELUSA, SPAVENTATA”
“Sono Silvia, da 18 anni lavoratrice della pH di Barberino Tavarnelle e sono arrabbiata,
delusa e spaventata.
Arrabbiata perché pensavo ingenuamente di essere invecchiata in una realtà lavorativa radicata nel territorio.
Delusa perché l’azienda con cui sono cresciuta, sia come madre che come donna, non mi ha
minimamente coinvolto nei sui legittimi progetti.
Spaventata perché a 57 anni mi troverò di fronte ad un bivio decisionale al quale non sono
emotivamente e logisticamente preparata.
In questi giorni ho sentito tanti “discorsi” di principio e tante “opinioni” certamente lodevoli ma
nessun commento o mobilitazione ha dato risposte umanamente accettabili alla mia
rabbia, delusione e paura.
Tanta paura di un futuro che non riesco più a determinare”.
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