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giovedì 23 Gennaio 2025
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    Argentiere da una vita: con Paolo Bussotti se ne va uno degli ultimi veri artigiani del nostro territorio

    Scomparso nei giorni scorsi a 82 anni, è stato al suo banco di lavoro fino all'inizio di dicembre: la figlia Caterina lo ricorda, in un percorso di vita e lavoro iniziato quando aveva solo 13 anni...

    CHIANTI FIORENTINO – “Tutti potevamo sentire quanto amavi quello che facevi. Sentivamo quanto hai vissuto per mostrarci la tua passione, creativa e bella. Mi mancherà il tuo sorriso, la tua soddisfazione nel mostrare la tua abilità nel forgiare in pochi secondi un oggetto d’argento da un dischetto. Mostrare ai clienti affascinati, l’arte del vero artigiano”.

    Lo scrive in un ricordo postato sui social Annagloria a proposito di Paolo Bussotti, artigiano, argentiere, che si è spento nei giorni scorsi a 82 anni. Dopo quasi 70 anni di lavoro.

    Fino a inizio dicembre era al suo banco, nella zona artigianale della Sambuca: qui, con “L’Argento Firenze”, insieme alla figlia Caterina, è andato oltre tutto. Oltre le crisi di settore, il mondo che cambiava, i gusti che si modificavano. Guidato da un sapere antico, quello delle mani.

    E proprio con la figlia Caterina andiamo a ripercorrere un tratto della storia di un uomo che, senza timore di essere smentiti, può essere definito come uno degli ultimi veri artigiani del nostro territorio.

    “Era argentiere – si parte da… molto lontano – dal 1955. Lo mandarono i suoi genitori a imparare un mestiere, a Firenze, quando aveva 13 anni. Trovò il suo primo lavoro in una argenteria: andava, lo raccontava sempre, in pantaloni corti”.

    Tempi comuni a tanti dei nati a inizio anni Quaranta nel nostro territorio: “Loro vivevano a Lucignano, vicino a San Pancrazio: partiva la mattina verso Firenze con la Sita delle 5, e tornava la sera con quella delle 19”.

    Paolo Bussotti con la figlia Caterina

    Fu una sorta di colpo di fulmine nei confronti di quel mestiere: “Da lì ha lavorato sempre nel settore – dice Caterina – Era una persona molto curiosa. Magari utilizzava la pausa pranzo per andare nel laboratorio accanto a vedere cosa facevano: incisione, cesello, tornitura, così ha messo insieme tanti saperi”.

    Partì militare: “Quando tornò – ricorda Caterina – a metà anni Sessanta, l’azienda in cui lavorava aveva ingranato. Lo volevano mettere responsabile della produzione, togliendolo però dalla parte manuale. Ma lui voleva lavorare con le mani. Andò in un laboratorio più piccolo e poi si è messo per conto suo, all’inizio degli anni Settanta”.

    Un percorso, anche questo, comune a tanti in quel periodo storico. Imparare un mestiere per poi provarci da soli: diventando piccoli imprenditori, artigiani che vivono del proprio lavoro.

    “La prima ditta era in Borgo Sarchiani, a San Casciano – continua il racconto della figlia – E da lì in uno spazio più grande, sempre in Borgo. Con la crisi dell’argento degli anni Ottanta lavorava soprattutto l’ottone; poi, con gli anni Novanta e il ritorno dell’argento, lavorava soprattutto per la sua ditta iniziale”.

    Lì, però, la svolta. Che coincide anche con l’ingresso di Caterina: “Io studiavo, e mi chiese se un’estate andavo a dargli una mano per le fatture. Accettai dicendogli che era solo una cosa di qualche settimana: dal 1992… non ho smesso più di farle”.

    Quindi l’azienda artigiana fa salire a bordo la figlia; a lungo la moglie, Tatiana, ha avuto anche un negozio di vendita degli oggetti prodotti, nel centro storico di San Casciano.

    Sì, perché dall’inizio degli anni Novanta, con il trasferimento nella zona artigianale della Sambuca (“Dal 1994-1995 – dice Caterina – prima in un capannone più piccolo, poi in uno più grande”) la parte di produzione in proprio assume un ruolo sempre più importante.

    Inizia a strutturarsi “L’Argento Firenze”, come si svilupperà da allora ad oggi.

    “Lui si è sempre occupato della parte creativa, io di quella commerciale e amministrativa – aggiunge Caterina – Qui siamo stati a lavorare fino a undici persone. Nel frattempo la produzione è cambiata, il panorama è cambiato: io, avendo studiato lingue, ho cercato di unire le cose”.

    Ed è arrivato un nuovo ambito di sviluppo: “Dieci-quindici anni fa abbiamo aperto il laboratorio ai turisti. Da lì abbiamo fatto questo passaggio, in parallelo con la produzione e la lavorazione per i negozi: a Firenze, a Milano. Con le mostre internazionali…”.

    “Il settore turistico ci ha aperto nuove possibilità – sottolinea – Ora le persone iniziano a ri-apprezzare l’artigianato, negli anni passati la valorizzazione di molti di questi mestieri era scaduta: arrivavano invece turisti, soprattutto americani, che rimanevano affascinati. Con tanti siamo rimasti anche amici, manteniamo rapporti”.

    “Era una persona sensibile e amorosa – conclude Caterina – magari con quelli di famiglia un pochino più rude. Anche come insegnante non era proprio paziente, diciamo che c’era da imparare osservandolo. Ha amato il suo lavoro fino alla fine: qui in azienda, al piano di sopra abbiamo ufficio, magazzino e sala mostra, giù il laboratorio. Ancora non sono riuscita a scendere: c’è il suo banco con alcune cose che ha lasciato da finire…”.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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