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venerdì 29 Marzo 2024
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    Come mai sotto ai nostri pini non c’è più neanche un pinolo? Ce lo facciamo spiegare dall’agronomo

    Niccolò Bianchi ci racconta come mai è diventato impossibile fare, come alcuni anni fa, una bella raccolta di pinoli nelle nostre pinete. Le cause? Un insetto e il cambiamento climatico...

    CHIANTI – Una volta era una vera e propria tradizione anche delle famiglie chiantigiane. Il pic nic in pineta, i giochi, le biciclette, il pallone, le borse frigo.

    Poi, a un certo punto, si prendevano i sacchetti e si iniziava a cercare i pinoli. Se ne raccoglievano tantissimi. In molti casi direttamente dentro le pine, che magari servivano poi per avviare anche il fuoco.

    Alcuni non arrivavano neanche a casa, schiacciati (rigorosamente sasso… su sasso) e mangiati sul posto. Con tanto di alone nero attorno alla bocca.

    Molti si portavano a casa, dove si utilizzava anche il martello per estrarre il prezioso frutto, che magari diventava pesto, insieme al basilico dell’orto.

    Ecco, da alcuni anni tutto ciò è diventato impossibile. Non si trova più un pinolo. Non si vede più una pina carica di frutti. Niente di niente. Il deserto.

    Ci siamo fatti spiegare dettagliatamente il motivo da Niccolò Bianchi, agronomo.

    Cosa sta accadendo alle pigne e ai pinoli. In zona chiantigiana non se ne vedono praticamente più. Ma è un problema più vasto?

    “I pinoli della Toscana sono da tempo martoriati da alcuni antagonisti; tra i più temibili il Leptoglossus occidentalis, che danneggia direttamente i pinoli, sia selvatici che coltivati, causando danni economici ingenti e  contribuendo alla scomparsa di questo gustosissimo seme. Ad esacerbare la situazione, e migliorare le condizioni ambientali per il Leptoglossus, contribuisce anche il riscaldamento globale ed i conseguenti cambiamenti climatici. Che mettono a durissima prova le difese dei pini, che si trovano di conseguenza sotto attacco dei già citati insetti”.

    Come agisce questo insetto?

    “E’ da più di 10 anni che i pini, specialmente nella zona Toscana, combattono contro una cocciniglia chiamata Matsucoccus feytaudi e, come detto, il Leptoglossus occidentalisAnche a causa di questi due insetti la produzione di pinoli negli ultimi 10 anni è ridotta drasticamente e in alcune zone è ridotta a 0. Il vero danano lo causa sopratutto il Leptoglossus: il quale, nella sua attività trofica, ovvero durante i pasti, punge lo strobilo in fase di crescita (ovvero la pigna non ancora lignificata) e riesce a penetrare all’interno del pinolo non ancora maturo causandone l’aborto precoce. L’albero quindi sviluppa pigne prive di pinoli, o non ne sviluppa affatto”.

    Cosa si sta facendo per… opporsi?

    “Sono oltre 10 anni che la Regione Toscana prova a combattere senza successo il Leptoglossus con metodi molto rispettosi dell’ambiente (confusione sessuale, cattura dei maschi, inserimento di maschi sterili, utilizzo di antagonisti) ma alcuni di questi hanno un costo estremamente elevato, e altre sono impraticabili: l’utilizzo di insetti predatori infatti prevederebbe il rilascio di una nuova specie alloctona (cioè straniera) nei nostri ecosistemi con effetti sconosciuti che potrebbero causare danni incalcolabili sia a livello economico che ambientale”.

    Di chi la “responsabilità”, se così si può dire?

    “Soltanto un giudice può attribuire una responsabilità, e anche volendolo sarebbe veramente impossibile determinarla in quanto quello che, al massimo, possiamo dedurre è che il Leptoglossus (cimice dei pini), essendo di origine americana, sia, con elevata probabilità, giunta in Italia attraverso il commercio di legname. Ne è stata segnalata la prima volta la presenza tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000 in Veneto. Negli anni ha continuato la sua migrazione e nel 2018 è stato avvistato nelle Marche. I più recenti documenti riportano contatti nel 2020 in Calabria. Per quanto riguarda il cambiamento climatico è ormai assodato che la responsabilità sia da attribuire nient’altro che a noi, la nostra specie”.

    Cambiamenti climatici, tema sempre più attuale purtroppo. Ci spieghi meglio come influiscono, in questo caso, sui pini.

    “I cambiamenti climatici e soprattutto gli eventi estremi come grandi periodi di siccità, di estremo calore, bombe d’acqua, causano dei danni che sono difficilmente immaginabili per la mente umana, limitata ancora ad una visione della realtà per modelli, ovvero semplificazioni, quando le interazioni di un ecosistema sono molto più sconvolte da azioni climatiche su larga scala che da singoli interventi. Questi invece causano danni ingenti non solo alle colture più tipiche del territorio italiano, ma anche alle eccellenza (tra le quali il pinolo di San Rossore poteva essere annoverato). I cambiamenti climatici causano scompensi fisiologici alle piante e incrementano a dismisura le fonti di stress e le difficoltà da affrontare per la sopravvivenza, la pianta quindi investe la maggior parte della sua energia nella sopravvivenza, e non nella produzione di frutti. D’altronde nella “mente” del pino si può immaginare un pensiero del tipo “se sopravvivo questo anno, potrò riprodurmi il prossimo se le condizioni lo permetteranno” ed è del tutto comprensibile. E’ bene aggiungere che possono essere proprio gli effetti della temperatura ad impedire direttamente alcune attività fisiologiche della pianta (la rubisco attivasi, importantissimo enzima dedicato alla fotosintesi, si deteriora con temperature maggiori di 30 gradi sulla maggior parte delle piante) riducendo drasticamente le capacità produttive o di sopravvivenza della pianta”.

    Non abbiamo quindi più speranze di poter tornare a cercare i pinoli come si faceva negli anni Ottanta?

    “Fortunatamente non posso prevedere il futuro, quello che posso dire è che le condizioni stanno peggiorando di anno in anno ad una velocità sostenuta e quindi il futuro oggi non ha un aspetto roseo. Ma la tecnologia e la ricerca avanzano rapidamente, chissà che non si possa utilizzare nei prossimi anni alcune cultivar resistenti a questo tipo di clima e alla cimice. Per quanto riguarda il cambiamento climatico purtroppo non sarà certo una strada breve quella da percorrere”.

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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