GREVE IN CHIANTI – “Non bisogna essere imparziali”: è questo l’appello che don Andrea Bigalli ha fatto giovedì 30 maggio, presso la sala Margherita Hack a Greve in Chianti, durante la serata che ha visto come ospiti d’eccezione Paolo Borrometi, giornalista siciliano, e il suo libro “Un morto ogni tanto, la mia lotta contro la mafia invisibile”.
Il titolo nasce proprio da un’intercettazione telefonica in cui Cosa Nostra dà l’ordine di uccidere Borrometi, che sul suo sito LaSpia.it denuncia gli sporchi affari dei boss del ragusano, perché “un morticeddu” ogni tanto serve “per dare un calmata a tutti”.
Al suo interno, tutte le inchieste de LaSpia.it condotte da Borrometi e raccolte per dar voce ad un fenomeno che uccide meno e che sembra essere in declino agli occhi della gente, ma che si fa sempre più radicato nelle filiere di produzione e distribuzione dei prodotti agricoli, per esempio in quella de “l’Oro Rosso” (il pomodoro Pachino), nei traffici di droga e di armi, nell’edilizia.
E si serve della violenza, dello sfruttamento e trova la propria forza nell’indifferenza delle persone.
Il lavoro onesto e coraggioso del giornalista ragusano gli è costato una vita sotto scorta: dal 2014, in seguito a ripetute intimidazioni e ad un’aggressione che ancora lo segna fisicamente, Borrometi si sposta con una squadra composta da più carabinieri, e che Cosa Nostra aveva pensato di far saltare in aria con un’autobomba nel 2018.
“Questo romanzo – spiega l’autore – nasce dalla paura con cui convivo ogni giorno, ma anche da quello che credo sia il mio dovere di giornalista: dire la verità, anche e soprattutto quando è scomoda e qualcuno non vuole si sappia. E poi nasce da quello che è mio dovere in quanto cittadino, difendere la giustizia e la legalità”.
Alla serata, organizzata dal presidio di Libera di Greve e dall’associazione culturale Tiravento, era presente anche un altro ospite d’eccezione, Rosy Bindi. Che, insieme a don Bigalli ha preso parte al dibattito sulla criminalità organizzata guidato dal giornalista Marzio Fatucchi.
“Se il potere della mafia – sottolinea Rosy Bindi – esiste in Italia fin da prima della nascita dello Stato è perché è riuscita a trovare la collaborazione di molti altri poteri, a partire da quello politico, quello che ognuno di noi esercita ma anche quello dell’informazione. Paolo decide di parlare, ma molti altri giornalisti non lo fanno”.
“Quando si parla di queste cose in Toscana – prosegue – ci sembra di assistere ad un racconto ma quello che accade in Sicilia è tutto vero, e noi non siamo immuni. La mafia non ha confini, è ed arriva ovunque. Nelle loro terre d’origine si “devono far riconoscere”, qua invece usano la tecnica “dell’immersione”, perché forse qualche anticorpo poteremmo anche averlo, e allora se ne stanno ben nascosti”.
In merito alla presenza mafiosa in Toscana è poi intervenuto Bigalli, referente regionale di Libera Toscana.
“In Toscana – evidenzia don Bigalli – abbiamo situazioni paradossali: buona parte del patrimonio edilizio in Versilia appartiene alla mafia campana e a quella russa, mentre la Toscana tutta è epicentro del consumo di cocaina a livello nazionale, un dato rilevante, quest’ultimo, che tuttavia non riusciamo a metabolizzare. Il problema non è tanto la mafia, ma la mafiosità, l’attitudine nei suoi confronti e la creazione di un certo clima culturale che diventa sempre più pesante”.
Agli interventi degli ospiti è seguita la lettura teatrale di Giovanni Esposito di un passaggio tratto dal romanzo, e alcune domande per l’autore in merito alle sue inchieste e alla sua vita sotto scorta.
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