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sabato 20 Aprile 2024
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    Assemblea con la Cgil al circolo Arci del Ferrone: dubbi sulla volontà degli imprenditori

    FERRONE – C'è la voglia di non rassegnarsi, di non stare ad aspettare la fine degli ammortizzatori sociali (che arriverà purtroppo molto presto) per poi vedere scorrere i titoli di coda su un settore che ha 700 anni di storia.

     

    E' quello del cotto, che abbraccia i comuni di Impruneta e Greve in Chianti, vive da anni il dramma di una situazione che pare senza ritorno. Ma i sindacati, con in testa la Fillea Cgil, stanno cercando in tutti i modi di guardare oltre. Lavorando su due livelli: quello delle tutele dei lavoratori e quello delle proposte per il futuro.

     

    Lo hanno fatto spingendo per l'incontro che si è svolto il 16 ottobre scorso in Provincia di Firenze (clicca qui per leggere l'articolo). Del quale hanno dato conto nel pomeriggio di venerdì 8 novembre al circolo Arci del Ferrone, di fronte a un centinaio di lavoratori di varie aziende.

     

    Approvando assieme a loro, alla fine, un ordine del giorno da presentare a Provincia e Regione Toscana, indicata da tutti come la possibile chiave di volta. Anche se, è chiaro, la sfiducia serpeggia pesante fra i lavoratori: verso gli imprenditori, verso le istituzioni. Guardando al futuro come a una galleria che va incontro al buio invece che alla luce.

     

    “Sugli ammortizzatori sociali – ha esordito Marco Benati, segretario della Fillea Cgil di Firenze – siamo arrivati al tetto massimo, e non a caso sono iniziati i licenziamenti. La Cgil dice da tempo che non siamo di fronte a una crisi da risolvere e poi tornare come prima: questa è una trasformazione. Le fabbriche che noi perdiamo, al 95% non le riavremo fra cinque anni quando magari i mercati si ri-assesteranno. E' in corso la de-industrializzazione del nostro Paese. Il problema è che a fianco della crisi economica ce n'è una del Paese in generale. Quindi siamo destinati al declino. La Cgil dice che questa fase va affrontata: non con gli strumenti vecchi ma aggiornandoci".

     

    "Questo territorio può permettersi di perdere il settore del cotto? No – è stata la risposta di Benati – Primo perché è una risorsa storica, perdere questo pezzo di industria vuol dire mettere in crisi tutto il territorio. La differenza che abbiamo nel nostro Paese rispetto al nord Europa? Lei distretti industriali c'è collaborazione, da noi invece c'è concorrenza. Si pongono le basi per non poter competere a livello internazionale. Qua da questo punto di vista sono sempre stati fatti tanti errori: la divisione fra imprese non è accettabile per quanto ci riguarda. Ci siamo concentrati con l'Rsu, abbiamo chiesto alla Provincia di convocare le parti (e l'attore principale dovrà essere la Regione Toscana), con imprenditori, lavoratori, sindaci. Vorremo condividere il percorso con i lavoratori, che devono sempre essere al fianco del sindacato".

     

    Poi l'avviso… ai naviganti: "Agli imprenditori diciamo che devono sentire forte la responsabilità di fare impresa, avendo un progetto più ampio, una responsabilità sociale nei confronti delle famiglie e del territorio. Un progetto che deve essere messo in campo dalla Regione Toscana: in Europa dal 2014 al 2024 saranno stanziati tantissimi milioni di euro per progetti di sviluppo locale. Qua la prima cosa che manca è un marchio e un disciplinare, alla base poi per fare marketing: che vuol dire vincolare il prodotto al territorio. E anche su questo servono risorse e specialisti: le aziende con 40-60 dipendenti non possono permettersi tanti manager, e non è detto che i figli degli imprenditori ereditino le competenze dei padri… . Le imprese devono mettersi insieme, innovando insieme, abbattendo i costi, raggiungendo i finanziamenti pubblici".

     

    "La prima cosa da fare? Secondo noi – ha detto Benati – o la Provincia o la Regione devono mettere le risorse per fare in breve tempo un'analisi della situazione che abbiamo, a partire da tutte le imprese, vedendo quali sono gli elementi da mettere in rete. Qualsiasi euro pubblico che dovrà essere speso dovrà andare in questa direzione. Poi serve un progetto generale di sviluppo di questo territorio, che potrebbe essere finanziato dalla Ue. E potrebbe prevedere anche il sostegno per chi, al momento, è stato espulso dal settore. Abbiamo lavoratori sotto sfratto dopo aver lavorato bene per 30 anni in un'azienda: in un Paese civile come il nostro questo è inaccettabile. Nei Comuni bisogna prevedere risorse, per quanto poche siano, di sostegno per le famiglie dei lavoratori e delle lavoratrici al momento in difficoltà, fermo restando il ragionamento sulla ricollocazione: all'interno del settore sarebbe un sogno, altrimenti anche altrove”.

     

    A livello locale per la Fillea è soprattutto Alessandro Lippi che, ogni giorno, segue le vertenze sul cotto: "Vi incontriamo dopo l'iniziativa messa in piedi in Provincia di Firenze. Da allora abbiamo fatto anche un'audizione in Provincia, dove abbiamo ribadito tutte le difficoltà. La perdita del 40% del personale, l'80% attualmente sotto ammortizzatori sociali. Se non si inverte la rotta quando saranno finiti il dramma sarà totale. In alcune aziende stiamo cercando anche di convincere a cambiare la cassa integrazione in contratti di solidarietà, che ci danno un minimo di respiro in più. In questo momento bisogna correre dietro alle urgenze".

     

    Ha ribadito "l'unità con gli altri sindacati (Cisl in primis): oggi non ci sono perché stanno seguendo altre problematiche e urgenze".

     

    "Voi – ha detto ai lavoratori – siete in tutto 163: nell'immaginario collettivo non esistete, dobbiamo lavorare al massimo per farvi apparire. In tutti siete la metà della Zanussi… . Per non dimenticarsi del settore del cotto bisogna lavorare, anche per non sparire dal dibattito pubblico. E sparire vorrebbe dire mettere la parola fine su una storia di eccellenza che ci appartiene”.

     

    Nell parole dei lavoratori però, tanta sfiducia e anche tanta (comprensibile) stanchezza: “Si vive in una realtà con imprenditori uniti quando devono fare dei movimenti sugli operai, per ridimensionare. Se devono vendere il prodotto vanno ognuno per la sua strada. Abbiamo anche la sensazione che pur essendoci gli ordini si temporeggi per sfruttare la crisi come alibi per mandare la gente a casa. E per noi vuol dire che non ti ammali più, non manchi più, non rimani incinta: sennò quella è la porta… altro che la porta del Chianti. Questi non si uniranno mai”.

     

    “Abbiamo vissuto sulla nostra pelle, con cessioni di aziende, i rapporti senza senso fra Comuni vicini – ha detto qualcun altro – In cinque mesi facciamo il lavoro di un anno. E poi come fanno a mettersi insieme? No, non è possibile. Gli imprenditori sono stati i primi a distruggere il cotto”.

     

    "In questa valle – ha detto un operaio che ha visto chiudere la propria azienda nel 2012 – manca una classe imprenditoriale. Abbiamo avuto una successione al ribasso. Il posto di lavoro tenetelo caro se ce l'avete ancora: siete impoveriti ma siete sempre lavoratori. Le istituzioni locali sono stati disponibili sono nella gestione ordinaria delle crisi aziendali: e stop. Soldi pubblici? Diamoglieli solo se c'è una supervisione regionale e di certo non a chi licenzia la gente”.

     

    Poi la chiusura, con la votazione unanime dell'ordine del giorno che indica i passaggi da sottoporre alle istituzioni, Regione in primis: “Dobbiamo provare a costringere a cambiare passo – è stata la chiusura di Benati – I soldi? Possono arrivare dall'Europa con progetti coordinati dalla Regione. Il controllo? Se c'è un piano complessivo si può dare conto di ogni euro che si prende. Avviamo un percorso, ci ritroveremo periodicamente, quando ci sono eventi o appuntamenti vi chiediamo di essere presenti. Se la Regione e la Provincia non convocano le parti partiamo con i presidi: vogliamo portarli su un percorso preciso dove noi dobbiamo avere un ruolo da protagonisti”.

    di Matteo Pucci

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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