Andando a passeggio in queste belle giornate di sole si incontrano tante persone insieme al loro cane, grosso o piccolo di ogni specie e acconciatura.
Ci sono i cani grossi che trascinano i loro proprietari, e quelli piccolini che spesso sono portati i braccio come dei bambini piccoli.
Questo spettacolo mi ha suggerito alcune riflessioni sul cambiamento del valore attribuito agli animali.
Quando ero piccolo, negli anni 50, i cani erano considerati animali da utilità per la famiglia, c’erano i cani da caccia, i cani da gregge e i cani da guardia come “Melampo” il cane legato a catena del Pinocchio.
Le famiglie agiate potevano avere più cani e fra questi alcuno da passeggio per la sicurezza personale o status symbol.
Per il loro sostentamento ognuno si arrangiava a preparargli la ciotola per l’alimentazione.
La gente normale dava loro molti farinacei e verdure, la carne era rara come per le persone.
I facoltosi invece si permettevano di comprare il “Macinato di carne” e questo faceva la differenza.
Poi piano piano l’industria ha incominciato a preparare alimenti appropriati e ora ci sono intere scaffalature dedicate al cibo dei Quattrozampe.
Per i gatti l’evoluzione è stata diversa, essendo essi felini gregari, una volta tenuti più di uno in funzione di caccia ai topi che abitavano le case e i granai.
Poi anche loro hanno subito la metamorfosi di trasformazione da cacciatori di topi a membri della famiglia urbanizzata nella quale non ci sono topi da cacciare ma “coccole” da ricevere insieme al loro cibo gradito, altrimenti si ritirano sdegnati lasciando la ciotola intatta.
A questo punto viene una riflessione: ma perché tutta questa ricerca di compagnia nell’animale cane o gatto, e non nell’animale uomo o donna o fanciullo, più congeniale?
Forse l’umanità della società dei consumi non vuole impegnarsi per il futuro come facevano i nostri nonni e genitori, e preferiscono la compagnia caratteriale di un animale che richiede meno tempo e danaro di un umano.
R.B.
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