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sabato 20 Aprile 2024
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    “Mio figlio, le modalità, i voti: riflessioni sulla maturità ad esami terminati”

    "Io il mio voto ce l’ho ancora ben stampato in mente che tante opportunità me le ha negate. Con l’augurio che tutti i maturandi 2022 non si sentano numeri ma persone..."

    Ora come allora.

    Estate 1989: ansia e trepidazione, concerti e le ultime interrogazioni…“Notte prima degli Esami”, proprio la mia.

    Come per ogni maturità che si rispetti, la sorpresa dietro la porta: dopo anni di consolidata prova di lingua straniera, si cambia la 2° prova scritta in ragioneria. Il panico.

    Sono consapevole che non riuscirò a rimanere lucida ed algida durante le prove, sono troppo emotiva. Ma quando pare che la commissione possa prendere in considerazione i voti ottenuti nel corso dei cinque anni, il percorso scolastico in generale, tiro un respiro di sollievo: forse non raggiungerò il massimo, ma ad un buon punteggio posso mirare.

    Poi però il fatidico marchio arriva, stampato nero su bianco, molto al di sotto delle aspettative, tanto che, se non fosse stato per la telefonata preoccupata del mio professore di matematica, forse ancora oggi i miei genitori non l’avrebbero saputo.

    Si inizia ad “essere numeri” tra i banchi di scuola.

    Bizzarro che anche i professori rinneghino il voto come un titolo dello studente ma a conti fatti non si riesca a farne a meno.

    La coerenza quindi dove sta?

    Dopo aver trascorso almeno cinque anni con il tuo alunno ed averlo quantomeno conosciuto sia come studente che come persona, cosa ti spinge a restare incollato a quel giudizio numerico che lo marchia come individuo?

    Estate 2022: la storia si ripete.

    Mio figlio, studente liceale con un trascorso sempre positivo, giunge al termine del suo percorso scolastico. Gli ultimi colloqui fortemente propositivi, i docenti lo considerano già una persona matura con cui si intrattengono dibattiti da adulto.

    Arrivano le prove scritte: la traccia su Verga della prima prova gli dà sicurezza, dato che ha avuto modo di apprezzare le Novelle ed i Romanzi dello scrittore consolidati durante le ore di Italiano; la prova di Matematica lo mette più in difficoltà ma riesce comunque a svolgere quasi completamente gli esercizi richiesti.

    Ed ecco, anche per mio figlio, la sorpresa: voti di entrambe le prove ridotti al minimo, paragonabili a quelli di chi, in questi anni, ha studiato per arrivare alla sufficienza.

    Quindi a questo punto mi chiedo: quale sentimento fa rimanere attaccato il professore ad un numero anziché allo studente con il quale ha condiviso pensieri, opinioni, idee, punti di vista, informazioni, e che ha visto crescere, lodando l’impegno ed elogiando la maturità con cui sono stati affrontati i vari problemi di questi anni?

    E come lui altri compagni demotivati da un approccio che ha perso molto del lato umano, dopo essersi confrontati con un percorso ad ostacoli.

    Aggiungiamo che questi due ultimi anni non sono stati una passeggiata per gli adolescenti, chiusi in casa davanti a uno schermo, in DAD (tralasciamo come questa è stata approntata, affrontata e condotta), mentre sono costretti a immaginarsi un nuovo futuro sulla base di un presente incerto.

    E oggi, con qualche anno di esperienza in più e qualche frequentazione negli ambienti scolastici, mi domando sempre più insistentemente cosa spinga una persona all’insegnamento.

    Insegnare = segnare la mente del discente lasciando impresso un metodo di approccio alla realtà che va ben oltre lo studio. Una missione pertanto, non una professione.

    Non dico che sia una cosa semplice riuscire ad attrarre l’attenzione dei giovani di oggi, tanto abituati sin da piccoli all’informatica e a strumenti che in pochissimi attimi riescono a fornire risposte ad ogni tipo di domanda.

    Trovo che, proprio perché non devi impartire le pagine di un libro ma le devi trasmettere e farne parte insieme ad un gruppo di teste pensanti, devi avere quasi una vocazione per l’insegnamento.

    Perciò ribadisco con ancor maggiore convinzione: quale motivo irretisce il docente ad un voto piuttosto che ad un altro, che segnerà il proprio alunno almeno per l’ingresso ad alcuni tipi di facoltà universitarie o comunque a qualche bando di concorso pubblico, nonostante se ne rinneghi l’importanza?

    Riflettiamoci sopra. Io il mio voto ce l’ho ancora ben stampato in mente che tante opportunità me le ha negate.

    Con l’augurio che tutti i maturandi 2022 non si sentano numeri ma persone.

    Giacomo Casini

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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