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martedì 10 Dicembre 2024
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    Radda in Chianti: “Noi e il Covid. La storia, per niente normale, della mia famiglia normale”

    La nonna che muore in casa con lui ad assisterla, la madre in ospedale, prima con il casco e poi in terapia intensiva: "La nostra storia comune a decine di migliaia di famiglie in Italia"

    RADDA IN CHIANTI – È più di un anno ormai che il Coronavirus condiziona le vite di ognuno di noi.

    In questo lasso temporale tutto un corollario di parole rare è diventato familiare e quotidiano (tamponi, sintomatici, asintomatici, quarantene, isolamenti fiduciari, terapie intensive) così come il conteggio numerico ad esse associate è diventato quasi un rituale (quanti positivi per quanti tamponi, quanti guariti, quanti in terapia intensiva, quanti sono morti).

    “A tutto ci si abitua” direbbe qualcuno a ragione, ma fa comunque una certa impressione notare come ci si sia abituati a “certi” numeri. Numeri per i quali un anno fa si invocava la calamità nazionale.

    E mentre con crescente frequenza consultiamo i numeri delle vaccinazioni, che dovrebbero finalmente liberarci da quest’incubo, tralasciamo sempre più spesso di consultare i numeri delle “vecchie” tabelle, quelle che ci parlano di morti e malati.

    Qui di seguito raccontiamo una storia che ha a che fare con questi numeri.

    Vorremmo però essere chiari: non è solo questione dell’ormai quasi abusato “ci sono esseri umani dietro a quei numeri”. Ma piuttosto, con le parole del suo protagonista “la storia di una famiglia normale che ha vissuto e sta vivendo un periodo niente affatto normale, come potrebbe capitare a tantissime normali famiglie”.

    Qual è allora il motivo, chiediamo a Francesco Palagi, studente di infermieristica originario di Vertine e raddese per adozione, per cui dovremmo divulgare questa storia?

    “Credo, purtroppo, che se qualcuno ancora non ha capito la gravità della situazione – inizia Francesco – questo qualcuno difficilmente cambierà idea, probabilmente neppure se si dovesse ritrovare a ciò che ho passato io”.

    “Però – riflette – se anche solo una persona fosse indecisa, fosse titubante o fosse incline a credere che si faccia molto più rumore del dovuto, lo scongiuro: ritrovate il lume della ragione, perché non si tratta di uno scherzo, e non c’è affatto motivo per credere che a noi non possa toccare”.

    Andiamo allora con ordine, e seguiamo con Francesco i fatti che hanno scandito la vita sua e della sua famiglia nelle ultime due settimane.

    “Mercoledì 17 marzo – ci racconta – mia madre Daniela scopre di essere positiva. Era stata nei giorni precedenti a fare assistenza a sua madre, cioè mia nonna Natalina, malata terminale e con un’aspettativa di vita molto breve. In casa con mia nonna abitano mio zio Daniele, mia zia Simona e la madre di mia zia, Loredana“.

    “A quel punto – continua Francesco – l’Assistenza Domiciliare Integrata non può più venire ad assistere mia nonna a causa della possibilità di contrarre il virus. Mi faccio quindi carico dell’assistenza. Il giorno dopo mia madre ha la febbre altissima. Mia nonna ha bisogno che qualcuno le applichi un catetere vescicale e me ne occupo io. Fanno il tampone a me e mia nonna, nella speranza di poter riattivare l’assistenza domiciliare”.

    “Il giorno ancora successivo – prosegue il suo racconto – cioè il venerdì, mia madre dà chiari segni di peggioramento, cammina a fatica e soprattutto comincia ad avere il fiato corto. Inutile dire che alle ovvie preoccupazioni per la situazione di mia nonna si aggiungano quella per mia madre. Mio padre è con lei in attesa di tampone, io invece mi sistemo in una brandina nel soggiorno dei miei zii”.

    “Arrivano i risultati dei tamponi – ricorda – io e mio padre siamo negativi, mia nonna è positiva. Mia madre scoppia in lacrime, boccheggiando, rischiando la crisi respiratoria e addossandosi colpe che evidentemente non può avere (quante volte abbiamo sentito parlare di senso di colpa nei confronti dei propri cari, aggiungiamo noi, n.d.r.). Capisco che toccherà a me occuparmi di mia nonna in tutto e per tutto, con l’aiuto e il sostegno telefonico (certosino e gentile) degli operatori dell’Assistenza Domiciliare Integrata e quelli delle Cure Palliative che a questo punto non possono più venire (oltre al danno, la beffa)”.

    “Il sabato passa in maniera stazionaria e “tranquilla” rispetto ai frenetici e agitati giorni precedenti – continua Francesco raccontando la sua storia – mia madre respira a fatica ma non peggiora mia nonna è probabilmente in uno stato di semi-coma. La domenica a mia madre viene prescritta l’assunzione di ossigeno perché ha un livello terribile di saturazione, sembra che si possa evitare il ricovero, l’ansia e la preoccupazione salgono. Io intanto continuo a seguire al meglio delle mie possibilità mia nonna, che ha chiaramente poco tempo davanti”.

    “Ho il conforto dei miei zii – ci dice – della mia ragazza, cerchiamo di farci forza a vicenda. Il lunedì le cose peggiorano di nuovo, anche se scoprirò poi che sarebbero dovute ancora peggiorare. L’ossigeno in bombola non è più sufficiente per mia madre, che deve essere ricoverata. Come se non bastasse io devo sostenere un esame via web. Salto da camera di mia nonna per assicurarmi che non senta dolore, a quella in cui devo sostenere l’esame. In queste condizioni riesco a fare poco più che scena muta, e così finisce il mio esame”.

    “La situazione di mia madre è così seria – ripercorre quelle ore – che appena arrivata all’ospedale le mettono subito il casco. Il caso vuole che la mia ragazza lavori nel reparto Covid, mi fa avere notizie, fa da tramite, ma parlare con mia madre è ovviamente impossibile. In serata mia nonna ci lascia, dormendo. Sono divorato dal dubbio su come e quando dire a mia madre della notizia. Il mattino seguente, cioè quello del martedì, Monia, la mia ragazza, rimane in reparto un po’ più a lungo per trovare il tempo e il modo migliore per far sapere a mia madre della nonna”.

    “Ho una terribile paura che la notizia possa essere causa di stress ulteriore – ammette Francesco – ma non mi sembra corretto mentirle su una cosa così importante e perciò alla fine viene informata. Riusciamo a scambiarci un paio di foto e tre messaggi. Non reagisce male alla notizia. Poi, non mi scrive più niente per un po’. Succede quello che fino all’ultimo ho sperato che non succedesse: mia madre viene intubata”.

    “Dopo qualche ora – prosegue il racconto – le onoranze funebri vengono a portare via mia nonna. Dal girono successivo, e cioè il mercoledì, si susseguono giornate angoscianti. Il pensiero che mia nonna potesse stare male è passato, ma è subentrato un indescrivibile stato di ansia e paura. Mio padre risulta positivo al tampone effettuato il venerdì, e prosegue quindi l’isolamento, senza nemmeno poter scambiare due parole dal vivo con qualcuno. La domenica finalmente la notizia che ci libera del macigno allo stomaco, mia madre non ha più bisogno della respirazione artificiale”.

    “Non è in forma, ma progredisce – spiega – e allo stato attuale delle cose, mentre parlo con voi (mercoledì 30), le stanno cercando un posto in para-intensiva. Abbiamo tirato un grandissimo sospiro di sollievo, ma se dicessi che sono tranquillo direi una bugia. Io e i miei zii siamo in attesa di tampone e la voglia di lasciarci questo angoscioso periodo alle spalle è veramente forte”.

    Dopo aver ascoltato la storia di Francesco gli chiediamo se c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere o far sapere a chi ci legge.

    Non ha molto da aggiungere se non ciò che abbiamo già riportato in apertura, ma ci tiene a sottolineare una cosa: “Il momento più nero per me è stato quando sono venuti a prendere mia nonna. In una situazione del genere anche la morte rischia di perdere quella dignità di cui necessiterebbe. La casa spalancata, mia nonna che viene presa, così com’è, messa in un sacco nero, e sistemata in una cassa da morto fuori casa. È questa la regolare prassi con un cadavere Covid. Poi, di fatto l’unica via percorribile per poterle poi dedicare quando si potrà anche solo una piccola funzione, abbiamo deciso di cremarla. Ma neppure questo è stato facile, perché uno dei due figli (mia madre) era impossibilitato a dare il suo assenso! Per fortuna siamo riusciti a risolvere la situazione”.

    “Comunque – conclude – non credo che questa storia debba dare insegnamenti particolari, ma spero che quando qualcuno sarà preso dalla voglia di lasciarsi andare al “è poco più che un’influenza”, o “non c’è ragione di farla tanto lunga” ripensi alla mia storia, che purtroppo non è una storia rara ma una storia molto comune per migliaia di famiglie comuni in Italia”.

    Ci salutiamo e gli facciamo un in bocca al lupo. Perché, come molti normalissimi ragazzi della sua età, Francesco deve tornare a concentrarsi sulla stesura della sua tesi. Si sta laureando in infermieristica… .

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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