SAN CASCIANO – Giuliano Vermigli è nato a San Pierino, al podere Cortevecchia: con la famiglia erano dei mezzadri della fattoria Le Corti.
Quando il nonno Donato Vermigli, nato a Greve in Chianti il 23 aprile 1877, fu ucciso dai soldati tedeschi al Tondo de Le Corti il 25 luglio 1944, Giuliano aveva quasi cinque anni.
Lo abbiamo incontrato a casa di Alessandra, sua parente: “La mattina del 24 luglio vidi dalla finestra che la famiglia Bandinelli, che abitava vicina a noi, stava andando alla casa del “Ciappa”. Non capivo cosa stesse succedendo: così mi affacciai dall’altra finestra che dava sulla corte e vidi due tedeschi armati di mitra”.
“Il mio babbo cominciò a dire che dovevamo andare via – sono ancora parole di Donato – mentre la mia mamma prese un sacco di pane e se lo mise sulle spalle. Così, tutti in fila (io, il mio babbo Giovanni, la mamma Dina Cappelli, Bianca Papi, la nonna Enrichetta, il nonno Donato, lo zio Beppe e Carlo, Enzo che aveva più un anno di me, ci trovammo in strada con l’altra famiglia, i Taddei (Pasquale, Guido, Mileno, Renzo, Mario, Renza, Annina)”.
“Ci misero in fila – è ancora il ricordo di Giuliano, allora bambino – e accompagnati dai tedeschi ci portarono alla fattoria de Le Corti. Arrivati, ci venne incontro un uomo con un pistolone tutto vestito di nero e ci gridò: “Via, a Firenze!”. Tra noi c’era chi piangeva, chi si disperava, non sapevamo a quel punto proprio dove andare: decisero di andare verso Mercatale, Firenze era troppo lontana e non sapevano in quali rischi potevamo andare incontro”.
“Scendemmo per il Tondo – è ancora il ricordo, nitidissimo, di Giuliano – e in fondo alla discesa, davanti al podere le Fonti, ci vide il Callaioli. Che ci offri di andare nella loro casa: “Venite qua, più siamo e più coraggio ci si fa”. Accettammo di fermarci lì”.
Ma, purtroppo, era solo l’inizio: “Nel pomeriggio sentimmo bussare alla porta, il Callaioli va ad aprire e si trova davanti un tedesco. In mano aveva un elmetto pieno di ciliegie. Parlava un po’ l’italiano, così il Vermigli e i Taddei gli chiesero se era possibile per loro tornare alle proprie case, per andare a dare da mangiare alle bestie. “Sì!” esclamò il tedesco, facendo capire che li avrebbe accompagnati al comando della fattoria de Le Corti”.
“Non so perché non andarano il mio babbo e nemmeno il mio zio – si chiede ancora oggi Giuliano – Può darsi che si sia offerto mio nonno Donato, che era il più anziano, mentre per i Taddei andarono Pasquale e Guido. Ma la sera non fecero ritorno a casa. La mattina del 26 luglio passò una donna che, vedendo gli uomini fuori dalla casa, disse che in cima al Tondo c’erano quattro morti. Mileno iniziò a strapparsi i capelli, Carlo passò lungo il muro e quando vide il suo babbo ucciso, tornò in fondo alla casa a forza di ruzzoloni”.
Verso le celebrazioni del 25 aprile a San Casciano, vi raccontiamo l’eccidio de Le Corti: era il 25 luglio 1944
Le immagini sono stampate a fuoco vivo nella mente, anche 79 anni dopo: “Pasquale, Donato e fra Ruffino erano a ridosso del muro davanti al cancellone. Mentre Guido, che probabilmente tentò di scappare, fu trovato a quattro o cinque cipressi di distanza dagli altri corpi. I tedeschi non toccarono nulla, ricordo che mio nonno aveva sempre i soldi in tasca”.
“Se sentimmo il rumore della mitragliatrice quando furono uccisi? No, non sentimmo sparare – risponde sicuro – eravamo tutti chiusi in casa. Ricordo che la notte stessa furono portati i Taddei e mio nonno Vermigli al cimitero di San Pierino: erano stati avvolti in dei lenzuoli e sepolti separati tra delle assi di legno”.
I giorni seguenti furono terribili: “Non ricordo quanti giorni siamo stati ospiti dai Callaioli, prima di tornare al Podere Cortevecchia, ma quando i miei decisero di tornare a casa non prendemmo la strada principale, per evitare di passare davanti alla fattoria, ma passammo attraverso i campi fino alla fonte di Marzocco, per poi risalire fino alla casa. Arrivati, trovammo cassette di munizioni da guerra sparse ovunque: in più, intorno al campo erano stati messi dei fili per segnalare la presenza di mine, in parte sotterrate. E abbandonato davanti a casa c’era rimasto anche un carro armato”.
“Fummo costretti così a tornare indietro – sono ancora parole di Giuliano – e trovammo ospitalità alla chiesa di San Piero di Sotto, dalla famiglia Zecchi. Dormivamo accanto alla sacrestia. Fu difficile ritornare ad affrontare la vita di tutti i giorni dopo la guerra, ma con grande dignità riuscimmo a ripartire”.
Ma le sorprese non sono finite. Alessandra da un’antica scatola tira fuori dei frammenti di storia: vecchie foto di Donato Vermigli, della moglie, oltre a una pergamena con una medaglietta d’oro.
Fu il Comune di San Casciano che, in occasione del ventesimo anniversario della liberazione, concesse a tutti i suoi martiri una pergamena con una Medaglia d’Oro alla memoria. La motivazione: “Inerme cadde sotto il piombo nazista per feroce ed inumana rappresaglia nei giorni della liberazione del nostro Comune. Sancasciano, 26 Luglio 1964. Il Sindaco Remo Ciapetti”.
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