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sabato 12 Luglio 2025
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    Partorire ai tempi del Covid-19? Due ostetriche sancascianesi ci spiegano come

    Il racconto di Erica Bianchi e Martina Macinai: la riduzione degli accessi, il padre in sala parto, ...

    SAN CASCIANO – Partorire ai tempi del Coronavirus? L’emergenza ha complicato ulteriormente il momento più delicato della vita di una donna. A spiegarci come sono le ostetriche sancascianesi Erica Bianchi e Martina Macinai.

    Martina è libera professionista dal 2007. Assiste a domicilio e organizza corsi pre e post parto. A condizioni normali, segue in ospedale le pazienti che lo desiderano e gestisce corsi di acquaticità.

    Erica ha iniziato nel 2015. Ha sempre lavorato in strutture ospedaliere pubbliche e da due anni è al Campostaggia di Poggibonsi, centro nascita “Covid free” che in questo momento è tra i preferiti dalle mamme del nostro territorio.

    Ci sono nuovi fattori da considerare nella scelta dell’ospedale in cui partorire: uno dei più importanti sembra la possibilità di far partecipare il padre all’evento nascita.

    “È difficile definire le differenze tra centri – spiega Martina – perché le cose cambiano ogni giorno. Alcuni ospedali permettono l’accesso al padre in travaglio attivo ma non in reparto, altri non ammettono accompagnatori”.

    Al Campostaggia è consentito l’accesso al compagno: “Ritengo fondamentale la sua presenza – ammette Erica – per la formazione del legame della nuova famiglia. Nella nostra struttura può entrare solo il padre, con guanti e mascherina, per il travaglio e una volta al giorno. Non gli facciamo il tampone perché convive con la madre e il risultato è considerato sovrapponibile in assenza di fattori di rischio”.

    “In alcuni casi le mamme hanno dovuto cambiare all’improvviso una scelta già programmata – precisa Martina – e molte si sono orientate verso i centri che permettono di entrare a un’altra persona. La decisione di ridurre gli accessi è fatta per ridurre il rischio, ma partorire in questo momento è dura”.

    L’argomento è caldo e anche nelle strutture dalle misure più severe si sta cercando di trovare una soluzione per ovviare al problema, senza che vengano meno le norme di sicurezza faticosamente applicate finora.

    Il tampone viene fatto a tutte le mamme e, in attesa del risultato, la paziente è trattata come sospetta: “In questo caso, lavoriamo completamente scafandrate – riprende Erica – a discapito del contatto che è molto importante nel nostro lavoro. Noto un’insicurezza maggiore nelle mamme, che si sentono sole e hanno più bisogno di noi”.

    “Alle preoccupazioni delle donne per le condizioni di sicurezza e per la possibile assenza del compagno – afferma Martina – si aggiungono l’impossibilità di condividere il neonato con gli altri parenti, la sospensione dei corsi di preparazione alla nascita e l’annullamento di alcune visite”.

    Per diminuire il rischio di contagio, gli ospedali incoraggiano le dimissioni veloci e il contatto da casa coi professionisti attraverso linee assistenziali dirette.

    La mancanza di soluzioni comuni contribuisce a disorientare le mamme, ma si è dovuto reagire in corsa all’emergenza rappresentata da un nemico sconosciuto.

    Perché nonostante le numerose perdite che abbiamo subito, fortunatamente la Vita non si ferma. Neanche in tempi di Coronavirus.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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