SAN CASCIANO – Non erano in molti a conoscere il Mulino di Paterno, in località Ponterotto.
La sua bellissima storia, raccontata e illustrata dall’architetto Claudio Mastrodicasa durante un incontro nella sala “Lucia Bagni” della biblioteca comunale di San Casciano, insieme alla storica d’arte Mèsi Bartoli e il medievista Paolo Pirillo, ci ha portato a scoprire una vicenda del passato.
Accaduta a una ragazzina, Elisabetta Lapi. Che oggi è una donna e che abita ancora accanto al mulino.
Una vicenda che ci racconta la vita di campagna di qualche decennio fa. E che poteva avere una conclusione drammatica. Ma, per fortuna, a raccontarcela oggi è la stessa Elisabetta. Siamo stati a trovarla.
Storie lungo la Pesa: un vecchio Mulino e un Tabernacolo. Il racconto di Mèsi Bartoli e Claudio Mastrodicasa
Lei è nata qui, ha ricordi di quando ancora il mulino era in funzione?
“No, sono stati i miei nonni che mi raccontavano del mulino. Io ho vissuto il periodo dove qui sembrava si vivesse in una favola, il posto era incantevole. Ricordo che nel periodo dell’alluvione del ’66 in parte fummo anche alluvionati. Abitando al piano terreno entrò in casa l’acqua, che fuoriusciva dalla gora del mulino”.
La gora era un’ enorme vasca che serviva a far funzionare il mulino che, ancora oggi, seppur invasa dai rovi, si riesce a percepire…
“La gora per noi era una grande piscina dietro casa. In molti venivano a farci il bagno, parenti e amici”.
In questa gora successe un episodio che la vide, suo malgrado, protagonista…
“Come tanti altri ragazzi della mia età (avevo 13 anni), seguivo i corsi di nuoto organizzati dal Comune di San Casciano nelle piscine di Colle Val d’Elsa e delle Terme dei Falciani. Tanto che alla fine del corso chiesi al mio babbo Silvano il permesso di fare il bagno nella gora, cosa negatami fino a quando non avessi imparato a nuotare”.
Quanto era alta l’acqua?
“Tre metri. Così una domenica, forte di aver superato il corso di nuoto, il babbo mi disse: “Via, fai questo bagno, a patto però che ti metta la ciambella”. Che in realtà non era altro che una camera d’aria di un’auto. Scelsi così il punto del muro più basso per buttarmi, uno sdrucciolo che serviva per lavare i panni”.
Era sola?
“No, c’erano altre persone oltre ai miei genitori”.
E cosa avvenne?
“Con grande gioia finalmente potei buttarmi nella gora, ma nell’impatto con l’acqua la ciambella mi scivolò in fondo ai piedi. Dandomi la sensazione come se qualcuno mi trattenesse. Non riuscivo a riemergere”.
Cosa ricorda ancora?
“La prima ad accorgersi fu la mia mamma Quintilia che, istintivamente, si buttò nella gora vestita per riprendermi, ma non sapeva nuotare. Lo stesso fece il babbo, ma anche lui non sapeva nuotare. Furono momenti drammatici. Il babbo riuscì per primo a prendere la mamma tirandola fuori, mentre altre persone mi lanciarono una corda che però non riuscivo ad afferrare. Fu un signore che era venuto a fare visita alla nostra famiglia, Otello Nebbiai, che presa una grossa canna di bambù me la batté sulle mani. Così, d’istinto, l’afferrai e riuscii a essere tirata fuori e salvata”.
Un lieto fine dunque.
“Sì, ricordo il pianto del mio babbo Silvano, e gli zoccoli della mamma che galleggiavano nel mezzo alla gora. Fu tale lo spavento che da allora non ho avuto più il coraggio di nuotare!”.
Oggi tornando a vedere la gora del mulino, cosa prova?
“Una grande nostalgia di un posto incantevole, dove ho passato un’infanzia felice pur avendo avuto quello spiacevole “incidente”. E poi mi rivedo accanto a babbo Silvano che, con tanta pazienza, costruiva bellissimi cestini in vimini. E mamma Quintilia: una donna d’altri tempi, della quale oggi sento la mancanza”.
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