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giovedì 28 Marzo 2024
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    Offese on Line e diffamazione: comportamenti e responsabilità

    Possiamo ormai dire che chiunque oggigiorno, a partire dall’adolescenza (se non dalla preadolescenza), è in possesso di un apparecchio che consente la comunicazione in rete e con esso si collega a gruppi individuati o ad una collettività di persone sconosciuta.

     

    Il fenomeno, conosciuto come “social networking”, ha pesantemente rivoluzionato la comunicazione interindividuale e cambiato completamente volto alla società dell’informazione, caratterizzata, fino a poco tempo fa, da un rapporto univoco tra i media tradizionali, soli soggetti trasmettitori, ed il pubblico, relegato al ruolo di mero ricettore.

     

    Il nuovo modello di comunicazione, che teoricamente parifica gli utenti ed  apparentemente li rende tutti uguali nel esporre le loro opinioni sui fatti che accadono, ha portato come conseguenza prevedibile, un uso del linguaggio più aderente al linguaggio quotidinao, con tutti i pro ed i contra che questo comporta.

     

    Una conseguenza sicuramente negativa, che però è bene ricordarlo, costituisce diretta derivazione della libertà di parola, è l’insorgere di espressioni volgari, pesanti e gravemente diffamatorie nei confronti dei soggetti con i quali chi si esprime non sia d’accordo e si ponga in contrasto.

     

    Il fenomeno dell’offesa libera e dello sfottò senza controllo non è nuovo nella società umana. Presente da sempre come forma di liberazione e condivisione emotiva, si era consolidato in tempi passati non remoti, nei cosidetti “discorsi da Bar” o in ritrovi ristretti in cui la prevalenza dell’aggressività verbale era comunque percepita da un numero limitato di destinatari
    Con l’avvento della Società Connessa, tutto è cambiato.

     

    Ognuno di noi, infatti, ha sicuramente assistito sui Social Network a risse verbali, offese, diffamazioni e talvolta a veri propri atti di persecuzione informatica a danno di singoli o di categorie di persone, per non parlare di innumerevoli altri reati ed illeciti civili.

     

    Il perchè questo accada, è oggetto di studi sociologici sempre più sofisticati, per riferire i quali mi mancano capacità e competenze, mi limiterò pertanto a brevi cenni sulle possibili conseguenze giuridiche di determinate azioni.

     

    Due recentissime sentenze della Corte di Cassazione penale, ribadendo principi giuridici ormai consolidati, hanno stabilito che, comportamenti ritenuti innocui dai più, sono in realtà delitti gravi meritevoli di intervento sanzionatorio non lieve.

     

    La prima sentenza della Cassazione – n. 50/2017 – riguarda Facebook,  considerato il “medium Social” per eccellenza.

     

    La fattispecie concreta esaminata era semplice e purtroppo, abbastanza comune: un utente, ritenendo che quanto scritto da un'altra persona non fosse di suo gradimento, aveva pubblicato sulla sua bacheca una serie di apprezzamenti denigratori diretti a screditarla.

     

    La Corte, chiamata a pronunciarsi, ha ritenuto che, tali offese integrassero il delitto di diffamazione aggravata.

     

    A suo giudizio, infatti, lo strumento utilizzato (la bacheca di Facebook) è tale da rende l'offesa potenzialmente capace di raggiungere un numero di persone indeterminato o comunque apprezzabile quantitativamente e ciò a prescindere dal fatto che sia accessibile solo a coloro che si sono registrati sul relativo sito, poichè le bacheche dei social network, sono destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica.

     

    La conclusione, dunque, è che scrivere offese sulla bacheca di qualcuno, determina la commissione di un grave reato.

     

    La seconda sentenza con cui la Corte di Cassazione si è occupata di delitti commessi attraverso l’utilizzo della Rete è la n. 54946 del 27 dicembre 2016.

     

    Anche in quell’ipotesi si era in presenza di una condotta diffamatoria simile a quella sopra indicata.

     

    La diffamazione però, invece che sulla bacheca Facebook del destinatario, era costituita da un commento postato all’interno del forum di un sito. In questo caso, oltre all’autore del commento, è stato ritenuto responsabile anche il proprietario del sito.

     

    Confermando la condanna inflitta dalla sentenza d’appello, la Cassazione conferma che le offese sono tali, e tali rimangono, anche se scritte in rete, cioè in un luogo apparentemente virtuale.

     

    Indipendentemente dalla critica giuridica che questa pronuncia può sollevare nella parte in cui afferma la responsabilità del gestore del sito per il solo fatto della conoscenza del messaggio ospitato, è bene ribadire che la sentenza sottolinea come il comportamento offensivo rilevi in sè, e che pertanto l’autore della diffamazione può essere chiamato a risponderne per il semplice fatto di avere dato sfogo alla propria rabbia con un click.

     

    Un ultimo punto da segnalare, infine, riguarda la responsabilità dei genitori per l’attività compiuta dai minori quanto al risarcimento dei danni. Il comportamento denigratorio della reputazione altrui compiuto sui social network, infatti, costituisce atto idoneo non solo ad integrare la responsabilità penale, ma anche quella civile, e in quanto tale può essere fonte di obbligo risarcitorio sia da parte di colui che si sia reso materialmente autore del fatto, sia da parte dei soggetti che ne siano responsabili in forza di posizioni di garanzia, come i genitori.

     

    Alla responsabilità penale del minore, ove imputabile perchè ultra quattordicenne, la responsabilità civile dei genitori, si affianca pacificamente.
     

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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