GRASSINA (BAGNO A RIPOLI) – Prende atto delle precisazioni fornite dalla Città Metropolitana, ma rimane della propria idea: "L’intervento effettuato non si regge su alcun principio di buona gestione del patrimonio arboricolo".
A parlare è Francesco Ferrini, professore ordinario di coltivazioni arboricole presso l'Università di Firenze, che nei giorni scorsi dalle pagine de La Nazione aveva criticato l'intervento messo in campo dalla Metrocità sul viale di Grassina di via Chiantigiana.
# ARTICOLO / Potature (e polemiche) in via Chiantigiana: nota della Città Metropolitana
Critiche che Ferrini conferma in tutto e per tutto: "Prendo atto delle precisazioni fornite da Metrocittà, con la quale collaboro su altre situazioni che, giustamente, sono indicate come diverse da quella di via Chiantigiana. Non entro nel merito delle valutazioni fatte precedentemente all’intervento, perché non posso commentare relazioni che non ho letto. Resto, tuttavia, fermo su quanto da me affermato".
"Quando si rilevano situazioni di rischio – spiega Ferrini – e non di pericolo come erroneamente si indica, dovere dell’amministrazione pubblica è quello di garantire la sicurezza della fruizione e di cercare la minimizzazione del rischio. L’intervento non garantisce questo, ma aggrava la situazione e sposta un problema di poco nel tempo".
"Si doveva e si dovrà – annuncia – nel breve termine, intervenire con i primi abbattimenti e reimpianti. L’alberatura in questione, già pesantemente mutilata qualche anno fa, è stata sottoposta a un pesantissimo intervento di capitozzatura, anzi di sbrancatura (a proposito chi l'ha fatto? visto che si giustifica l'interventi attuale con gli errori fatti in passato), poiché si è intervenuti fino al taglio delle branche primarie. Su qualche esemplare si è arrivati addirittura alla stroncatura, cioè al taglio del tronco".
"Tutto ciò – dice il professor Ferrini con durezza – va contro a ogni principio dell’arboricoltura e l’intervento non fa altro che aggravare la situazione e avrà esattamente l’effetto contrario. Si afferma che sono state prese in considerazione due opzioni: nei casi più gravi abbattimento delle piante e loro sostituzione. Giusto. Perché non lo si è fatto? L’intervento determinerà un’accelerazione della senescenza e si dovrà intervenire con abbattimenti e reimpianti molto prima di quanto previsto. Conservazione della pianta mediante una drastica potatura di riduzione in altezza tesa a diminuire o eliminare le sollecitazioni meccaniche sul collare di innesto dei rami epicormici".
"La seconda opzione – rimarca Ferrini – è totalmente errata. Con una drastica potatura si spinge la pianta verso la spirale della mortalità e la si costringe a una mobilitazione delle riserve per la ricostituzione parziale della chioma. Ciò la indebolisce e determina un riscoppio vegetativo con una vera e propria “esplosione” di polloni alla base (che richiederanno almeno 2-3 interventi per la loro rimozione in quanto interferiranno col traffico veicolare) e di succhioni lungo il fusto e sulla branche".
"La capitozzatura di qualche anno fa – dice ancora – aveva già determinato la produzione di molti rami epicormici che adesso dobbiamo togliere. Non è che capitozzando o sbrancando si eliminano solo i germogli epicormici, anzi, se ne stimola ancor più la produzione, col risultato che fra 3-4 anni si dovrà di nuovo intervenire e al primo temporale estivo ci troveremo con la strada piena di rami che si staccano più facilmente perché mal ancorati".
Il professore dice che "bastava intervenire con la riduzione dei rami e di piccole branche soprannumerarie, limitando al massimo lo stress per la pianta. La capitozzatura, invece, porta a profondi cambiamenti nella struttura e nella fisiologia della pianta, tecniche come il taglio di diradamento oppure il taglio di ritorno comportano un minor grado di ‘disturbo’ e sono quindi raccomandabili per garantire una maggior sanità e, probabilmente, longevità della pianta, considerando anche il fatto che gli alberi urbani durante la loro vita sono sottoposti a numerose potature e dunque subiscono ripetutamente gli effetti e le alterazioni morfo-fisiologiche di tali interventi".
"L’affermazione che non ci sono regole “facili e veloci” che definiscono quanto e quando un albero debba essere potato – conclude – rende perfettamente l’idea di come l’approccio a questa operazione non debba mai essere superficiale come invece si evince guardando i nostri alberi, che, purtroppo, si trovano nelle più deplorevoli condizioni a causa di interventi errati, spesso perpetrati nel tempo".
di Matteo Pucci
© RIPRODUZIONE RISERVATA