BAGNO A RIPOLI – Sono trascorse ormai due settimane dalla partenza di Alessandro, volontario della Croce Rossa di Bagno a Ripoli, che ha scelto di imbarcarsi su una nave di pattuglia nel mediterraneo per soccorrere i migranti.
Raggiungiamo Alessandro in uno dei suoi rari momenti di pausa, che può impiegare per rendere l’idea di ciò che sta avvenendo nel Mediterraneo centrale.
“Sono un soccorritore della Croce Rossa da 18 anni – si presenta – cioè metà della mia vita. Ogni settimana faccio servizio sulle ambulanze di Bagno a Ripoli e sono inoltre parte di una squadra di soccorso in acqua della Croce Rossa. Quest’anno ho preso una pausa dal lavoro e dal volontariato per mettere le mie competenze a servizio di una missione più complicata: dare soccorso ai migranti nel Mediterraneo centrale”.
Questione ben delicata, su cui si accendono e spengono molti riflettori, a seconda delle convenienze di parte. Proviamo a raccontare semplicemente quello che succede…
“Ogni giorno partono dalla Libia imbarcazioni con a bordo migranti che cercano salvezza in Europa e molte di queste barche semplicemente affondano prima che possano essere intercettate. Si tratta sempre più spesso di gommoni di scarsa qualità, caricati oltre ogni ragionevole limite con 100, anche 120 persone, oppure di imbarcazioni di legno fatte con bancali e materiale di scarto. Vuoti a perdere, con motori vecchi e inadeguati ad attraversare le 130 miglia che separano la Libia dall’Italia”.
Passiamo alla tua attività, e a quella del gruppo di cui fai parte.
“Mi sono imbarcato sulla nave Aquarius di SOS Mediterranee – un’associazione italo-franco-tedesca finanziata unicamente da donatori privati – e faccio parte del team che interviene direttamente in mare per la messa in sicurezza dei migranti e il loro recupero. Il nostro equipaggio è internazionale (siamo italiani, francesi, tedeschi, inglesi, olandesi, bangladesi, bielorussi, americani, messicani) e arriviamo da diverse esperienze di soccorso (croce rossa, medici, infermieri, pompieri) e di vita in mare (piloti, subaquei, capitani, istruttori di vela). Siamo partiti lo scorso 7 luglio dal porto di Catania assieme al personale di Medici Senza Frontiere: i primi due giorni li abbiamo passati in navigazione verso la Libia, facendo formazione sanitaria (primo soccorso, rianimazione, supporto psicologico) e nautica (operazioni sul ponte, procedure di emergenza), poi l’attività è entrata più nel vivo”.
In quella settimana si è parlato di numeri rilevanti, che sono stati fondete discussione in diversi parlamenti degli stati europei. Voi cosa avete incontrato?
“Dal terzo giorno, sul limite delle acque internazionali, abbiamo pattugliato al largo la zona costiera compresa fra Tripoli e Sabrata, facendo turni di avvistamento al radar e con i binocoli. Il 10 luglio riceviamo una richiesta di supporto da parte della nave di soccorso Phoenix: abbiamo messo i nostri due gommoni in mare e abbiamo aiutato i colleghi a soccorrere un centinaio di persone. Il mattino successivo ci siamo svegliati all’alba per un avvistamento, portando soccorso a 133 persone. La giornata è proseguita senza soste per 18 ore, perché comparivano all’orizzonte sempre nuove imbarcazioni piene di migranti. Ricevuto il supporto della Guardia Costiera italiana e di altre OGN, al tramonto avevamo a bordo 860 persone, fra cui una donna che ha partorito sul gommone ed è salita sull’Aquarius con il cordone ombelicale ancora attaccato al suo piccolo”.
Puoi raccontarci qualcosa dell’assistenza fornita ai naufraghi?
“Ricevuto da Roma l’ordine di proseguire verso Brindisi, per due giorni abbiamo medicato, nutrito e rassicurato i nostri ospiti. Le loro condizioni di salute erano generalmente buone, ma abbiamo visto chiaramente i segni delle torture fisiche e psicologiche inflitte a uomini e donne. Sull’Aquarius avevamo oltre cento minori non accompagnati e ottanta donne. Ho chiesto ad alcuni di loro, in inglese e francese, come pensavano di attraversare il mare a bordo di quelle imbarcazioni improvvisate”.
E cosa ti hanno raccontato?
“Ahmed, sudanese finito il Libia contro la sua volontà, mi ha risposto che sarebbe stato meglio morire che rimanere in cella. La vista della costa italiana, l’ultima sera, ha fatto esplodere la felicità dei migranti. Si sentivano finalmente al sicuro e quasi tutti hanno cantato e ballato, in una babele di lingue e dialetti. Al mattino a Brindisi siamo stati accolti dalla Croce Rossa e dal 118 locale: le operazioni di disimbarco sono state veloci e non ci sono stati incidenti. Il mattino successivo siamo ripartiti per una nuova missione. Adesso stiamo per entrare nuovamente nella zona di ricerca e soccorso. Le prossime ore saranno intense”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA