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martedì 23 Aprile 2024
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    Antonio Aiazzi: l’architetto che, da San Donato in Poggio, ha vissuto 20 anni in un’isoletta brasiliana

    Raccontiamo la sua incredibile storia. Di come da un borgo medievale sia finito nei profumi e nei colori brasiliani. Di come abbia cambiato la sua vita

    SAN DONATO IN POGGIO (BARBERINO TAVARNELLE) – Antonio Aiazzi, architetto nato nel 1943 a Firenze e sandonatino di adozione, si trova adesso letteralmente dall’altra parte del mondo. In Brasile.

    Dopo una carriera ricca di successi – fatta di attività didattica e amministrativa, di collaborazioni e consulenze professionali, di mostre ed esposizioni in moltissime nazioni – ha finalmente trovato il suo benessere interiore.

    “Mi ci è voluta una vita intera per arrivare a questo punto, ma credo fermamente che ne sia valsa la pena”, commenta l’architetto Aiazzi, appagato dal suo attuale stile di vita.

    In questo primo capitolo della sua storia, che abbiamo il piacere di ospitare sul Gazzettino del Chianti, Antonio ci racconta di come da un borgo medievale nel Chianti sia finito in Brasile. Di quanto questa terra lo abbia arricchito e di come la sua professione si sia evoluta.

    Lasciamo la parola direttamente a lui, che con il suo piacevole racconto ripercorre con noi alcuni degli attimi salienti del suo percorso, trasportandoci in luoghi lontani, selvaggi ed affascinanti.

    “Dopo una vita passata in Italia, alternata comunque da lunghi viaggi periodici intorno al mondo – inizia Antonio – per vicissitudini strane e imprevedibili alla fine degli anni Ottanta sbarcai per la prima volta in Brasile”.

    “Terra nuova e entusiasmante – prosegue – con colori e suoni forti. Natura esuberante, banane e caipirinhe, ananas e avogados. Casini dappertutto e bossa nova. Un paese dove a tutto si trova una soluzione: esercitò un grande fascino su di me”.

    “Per molti anni la mia referenza fu Rio de Janeiro e i suoi meravigliosi dintorni – ricorda – Già allora avrei voluto trattenermi lì per sempre. Ma gli impegni in Italia mi impedivano di farlo e quindi passavo là solo circa un mese all’anno”.

    “Durante quei soggiorni – racconta ancora – ebbi modo di visitare quasi tutta questa bella terra. E fu proprio allora che quasi per caso mi recai in un arcipelago di isole tropicali nella baia di Angra dos Reis, pochi chilometri a sud di Rio”.

    “Lì conobbi varie persone, fra le quali l’ex sindaco di quella regione: un omone alto e grassoccio, molto simpatico e disponibile – rivive con noi quei momenti che avrebbero cambiato il suo futuro – Si offrì di farmi fare un giro per le isole con il suo motoscafo ed io presi al volo l’opportunità”.

    “Le isole – descrive Antonio – più di trecento, si presentavano completamente ricoperte di vegetazione ed erano relativamente vicine le une alle altre. All’ora di pranzo ci fermammo a fare uno spuntino su una di queste, dove un amico del sindaco aveva un ristorantino quasi sull’acqua”.

    “Mi venne l’idea di cercare una casina di pescatori da comprare o affittare – sorride al ricordo – Feci questa richiesta al ristoratore, un gigante grande e grosso che sembrava Primo Carnera. Lui mi disse che, se avessi voluto, mi avrebbe mostrato un’isola vicina, di sua proprietà, in vendita a… prezzo di banana”.

    “L’isola era selvaggia e bellissima – ci dice ancora – Aveva una piccola casa, mezza diroccata, nella parte alta. L’affare fu concluso immediatamente e fu così che mi ritrovai proprietario di… un’isola”.

    “Naturalmente quando tornai in Italia nessuno ci voleva credere – prosegue Antonio – Ma sai, lui è sempre stato un po’ strano. E poi è un artista, che vuoi sperare?… commentavano”.

    “Ristrutturai la casa ampliandola un po’ – spiega – e il piccolo molo di pietra. Avevo anche un barcone di legno per la pesca con il quale andavo a fare la spesa al paese più vicino, a circa venti minuti… di motore. Sono stati vent’anni di assoluta felicità. Era un privilegio per me poter stare in un posto così straordinario. Respiravo un’aria di inusitata libertà”.

    “C’erano molti animali che vivevano lì – cerca di farci vivere quelle giornate – iguana lunghi quasi un metro, urubù, aironi bianchi e uccelli di tutti i tipi. Ogni tanto piccoli gruppi di capivara e alcune lontre di mare arrivavano, nuotando, dalle isole vicine”.

    “Migliaia di lucciole accompagnavano i suoni del vento e del mare – prosegue la sua descrizione – Altre volte c’era un silenzio assordante, interrotto solo dal rumore delle barche da pesca che passavano. La mattina invece era tutto un concerto di uccellini che cantavano”.

    “Però non è stato sempre facile – ammette – Ogni tanto venivano i miei figli oppure ospitavo amici, ma la maggioranza del tempo la passavo da solo. La prima sensazione di notte era quella di paura, specialmente all’inizio”.

    “Il tempo passa e le storie cambiano ancora – Antonio di nuovo volta pagina – Oggi vivo nel nord est brasiliano, in un paesino di pescatori che si chiama Caraubas, a circa 50 km dalla città di Natal e a 3.500 km da Rio (tanto per rendere l’idea delle dimensioni di questo Paese…) Qua ho continuato a svolgere la professione di architetto, sebbene in forma ridotta. Mentre l’attività artistica è evoluta molto, con nuove e intriganti spinte creative: sono diventato un artista-falegname”.

    “Per i miei lavori – spiega – utilizzo vecchi legni di barche, materiali organici che trovo sulla spiaggia e nel sottobosco, persino la spazzatura che ritengo interessante. Ed è così che creo le mie opere, tagliando, dipingendo e ri-assemblando, ridando nuova e differente vita alle cose, diciamo così, morte”.

    “Riutilizzare gli scarti del mondo e ricreare lo spirito di cose che non osserva più nessuno credo che sia il riscatto degli ultimi – dice con convinzione – E’ un lavoro che non ha assolutamente fini commerciali né di raggiungimento di qualche successo personale. Mi dà in cambio un senso di libertà che non avevo mai provato prima: fare ciò che voglio, senza dover rendere conto a nessuno”.

    “Le maschere che faccio – tiene a dire – sono come degli archetipi che parlano una lingua muta e incomprensibile, testimoni silenti del tempo che passa, messaggeri di un mondo lontano e forse inesistente: veri amici fraterni che con i loro ghigni sberleffano la morte delle cose”.

    “La maschera non ti rivelerà mai che cosa si cela dietro di lei: spetta a te intuirne il significato profondo – conclude, per adesso, Antonio, che ri incontreremo sul “versante sandonatino”… – Quello che vedi, con i tuoi enigmi e le tue paure, non sempre è reale. E’ come un’immagine riflessa nello specchio: quello che vedi non è un altro, sei sempre e solo tu”.

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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