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giovedì 25 Aprile 2024
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    Dal Covid, alla terapia intensiva, alla rinascita. La storia di Simone Cavuoti: “Una seconda vita”

    A Tavarnelle sono state settimane di preoccupazione per "il Cobra", che è riuscito ad essere più forte del virus ed è tornato a casa. E adesso dice tanti grazie

    TAVARNELLE (BARBERINO TAVARNELLE) – Lo andiamo a trovare in una mattina di agosto, a casa sua, a Tavarnelle. 

    Quella casa dove è tornato da alcuni giorni, dopo la terribile esperienza del Covid-19. Giunta fino alle soglie delle conseguenze più gravi.

    Quella casa dove la sorella Maria Rosa, gli amici Matteo Cibecchini, Alessandro Cica, non fanno mai mancare la loro presenza (così come durante le difficilissime settimane della malattia), rimanendo anche la notte per aiutarlo.

    Una marea di persone che ha seguito questo percorso fra paure e speranza. Tutto lo staff del ristorante “La Fattoria”, dove lavora. E poi tanti, tantissimi altri. Che sono rimasti con il fiato sospeso. Sostenendolo, per quanto possibile da lontano, molti anche con le preghiere.

    Aggiornati ogni giorno dai messaggi nelle chat che raccontavano come stava andando. Prima sulle condizioni via via più gravi. Poi, per fortuna, sono arrivati quelli della rinascita. 

    Tanti che adesso passano per un saluto, per dirgli che sono contenti di riaverlo in mezzo a loro.

    Perché per Simone Cavuoti, “il Cobra” per tutti, 38 anni, quella del Covid-19 è stata una vera e propria esperienza di rinascita. Di un primo e un dopo. Di un biglietto per una seconda vita. 

    Di 28 kg persi. Di un peggioramento rapido e preoccupante. Fino al coma indotto, alla terapia intensiva. Al fiato sospeso aspettando che l’organismo reagisse al virus. E, per fortuna, l’organismo ha reagito.

    Così oggi Simone ci dice, con quel suo modo di fare genuino, che tutti conoscono e che oggi apprezzano ancora di più, di voler “ringraziare tutti i dottori, gli infermieri dell’ospedale Santa Maria Annunziata. Sono stati fantastici. Non faccio nomi per non dimenticare qualcuno, ma li ringrazio davvero di cuore”.

    Per lui il Covid è iniziato con una frebbe alta, a 40. “Dopo alcuni giorni – ci dice – non mangiavo più e non respiravo. Appena è venuta a casa l’Usca, l’unità mobile, non c’è stato bisogno di grandi esami: mi hanno guardato gli occhi e hanno subito deciso per il trasferimento in ospedale”.

    Lì è iniziato il calvario di Simone. Quell’assistenza, in particolare respiratoria, che viene data ai pazienti per dar tempo al loro organismo di reagire al virus.

    “Prima l’ossigeno con la mascherina – ci racconta – poi il casco. Ho cercato di resistere, ma è impossibile: dopo un giorno con quell’aggeggio in testa non ce la facevo più”.

    Da lì la decisione dei medici per l’intubazione: “L’ultimo ricordo che ho – ci dice Simone – è quando non riuscivo a reggere con il casco. Poi mi sono svegliato dopo una settimana di coma”.

    E lì sono venuti i giorni, se possibile, più difficili: “In una stanza da solo, con i monitor, ho avuto davvero paura di morire. Immobilizzato, cavi e tubicini ovunque. Poi per fortuna ho iniziato a capire che miglioravo, è andato giù il primo yogurt che mi hanno dato. E da lì sono ripartito”.

    Piano piano Simone ha ricominciato a mangiare, mentre nel reparto di malattie infettive tutti hanno iniziato a conoscerlo, a passare per un saluto, una carezza, un incoraggiamento. A imparare e canticchiare la sua canzone, “Io sono il Cobra” (ne parliamo qui).

    Simone non era vaccinato quando è stato contagiato dal virus: “Che devo dire, tutte le notizie che sentivo sugli effetti avversi… mi ero impaurito. Se oggi mi vaccinerei? Subito! E comunque appena mi diranno che devo fare il vaccino lo farò immediatamente”.

    Adesso c’è da essere pazienti. Rimettere il tono muscolare perso nelle gambe. Recuperare le forze.

    Rimettersi in piedi e guardare in faccia questa seconda vita. Che è venuta alla luce nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Ponte a Niccheri.

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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