SAMBUCA (BARBERINO TAVARNELLE) – Dopo lo sciopero di tre ore dello scorso 22 settembre, stamani davanti alla Ghiott in via Sangallo, alla Sambuca, c’è stato un nuovo sciopero di tre ore.
Presidio di lavoratori (con i sindacalisti della Flai Cgil) ai cancelli dello stabilimento, che produce cantuccini e biscotti. E occupa una decina di dipendenti, “quasi tutte donne” puntualizzano dal sindacato.
L’agitazione, indetta appunto dalla Flai Cgil, è dovuta al “modo dilatorio di affrontare le problematiche da parte dell’azienda”.
“Nell’incontro sindacale svolto a metĂ luglio – prosegue Flai Cgil – ci ha comunicato una presunta trattativa di vendita, senza specificare nient’altro”.
“Avendo riscontrato che a tutt’oggi non c’è produzione nello stabilimento – rimarcano dal sindacato – e dopo ripetute richieste di incontro senza alcun riscontro, registriamo la continua e persistente volontĂ dell’azienda di non voler confrontarsi e dare risposte in merito alla situazione in essere”.
“Riteniamo molto grave questo tipo di atteggiamento da parte di una azienda storica del territorio”, spiega ancora il sindacato.
Aggiunge la Flai Cgil: “Ieri abbiamo ricevuto la convocazione, da parte del sindaco di Barberino Tavarnelle, David Baroncelli, della riunione del tavolo per l’attivazione del patto del lavoro del Chianti, in data 3 ottobre. Bene, la prendiamo come un primo, minimo risultato della mobilitazione messa in campo, visto che chiedevamo questo tavolo da inizio settembre, senza risposta. Ora in quella sede, dove ci aspettiamo che saranno presenti Confindustria e azienda, vorremo sapere cosa c’è nel futuro dello stabilimento e di chi ci lavora”.
A raccontare come vivono i lavoratori questo momento è una di loro, Carolina Stoppioni, membro Rsu, Flai Cgil): “Viviamo questa situazione come un affronto personale: ci stanno facendo svuotare gli impianti, ci fanno fermare le macchine, dismettere le materie prime, come se qui non ci dovesse rimanere piĂą niente, ma nessuno ci mette la faccia per dirci che futuro ci aspetta”.
“Per anni – riprende – ci hanno detto siamo grande famiglia e ora invece registriamo questo silenzio che ormai perdura”.
“Ci sembra di ricevere una mancanza di rispetto – conclude – Alcune lavorano qui da venti anni, siamo per lo piĂą donne con famiglia, con figli da mandare a scuola. E almeno venti anni di lavoro davanti prima arrivare alla pensione”.
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