GREVE IN CHIANTI – C’è un Chianti sconosciuto che merita davvero di essere raccontato, non solo per la bellezza che porta in sé ma anche per la storia importante che ci tramanda.
“La curiosità per i mulini l’ho sempre avuta – ci racconta Marco Cappelletti, panzanese, meccanico con la passione della fotografia – e nasce forse dal fatto che sono figlio di contadini”.
“Fin da bambino – prosegue – ho vissuto tutta la lavorazione del grano, dalla semina alla macinatura. Non ho visto con i miei occhi i mulini ad acqua in funzione ma sono sempre stato affascinato dai racconti dei miei genitori e in particolare di mio nonno”.
“I mulini sono una realtà perduta perché il Chianti – ci spiega Marco – oramai si vede sempre più in un’ottica di vino, ma fino a pochi decenni fa era soprattutto grano e cereali. Ecco perché nella zona di Greve, lungo il corso d’acqua, i mulini erano tantissimi. Probabilmente, solo dalla zona di Montagliari, risalendo il fiume, potrebbero essere stati 7 o 8, tutti risalenti al medioevo”.
“Il mulino più suggestivo, evocativo e importante che ho esplorato – ci dice – è sicuramente il mulino detto “delle due colte”, che sorge in un luogo impervio, buio e inaccessibile, immerso nel bosco, risalendo il fiume verso le sue sorgenti”.
“La colta – racconta ancora – era la vasca di raccolta dell’acqua. Aperta la paratoia all’occorrenza, la forza dell’acqua attivava gli ingranaggi del mulino. La cosa particolare è che questo edificio ne possiede ben due, entrambe alimentate da canali che si chiamano “gore”. Ancora visibile all’interno è il forno con la croce”.
“Questo mulino è un po’ avvolto nel mistero – ci svela Marco – perché l’antica macina esistente è di un materiale diverso da tutte le altre rinvenute nel Chianti. Solitamente la pietra usata era un materiale calcareo facilmente reperibile in zona, ma in questo caso è fatta di serpentino, una pietra rarissima nella zona di cui ancora non è certa la provenienza”.
“Una pietra ignea – rimarca – molto resistente, molto preziosa e dunque molto costosa. Da qui se ne deduce che il mulino fosse molto importante e che lavorasse molto”.
“Qui si macinavano farine nobili di grano – ripercorre la storia – ma anche miscele più povere, cioè le biade per gli animali. Non è escluso che ci macinassero anche le castagne provenienti dai boschi di Lamole e del Monte San Michele”.
“Sempre nei pressi del manufatto c’è un antico ponticello di epoca remota anch’esso – prosegue – che testimonia l’importanza di tale e di tali attività alle quali tutti avevano la necessità di accedere agilmente con carri e mezzi di trasporto. Per questo vicino ad ogni mulino era importante che ci fosse una buona rete di strade”.
“Benché luoghi antichi e in questo caso avvolti da un suggestivo alone di decadenza – aggiunge in conclusione – non dobbiamo dimenticare che questi mulini furono in funzione fino al dopoguerra e ricordo che mio nonno, proprio in un mulino di questa valle, ci portava a macinare il grano”.
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