GREVE IN CHIANTI – “A Cintoia, sul volume diroccato della ex filanda Calamai, verrà costruita dalla Fondazione Paolo e Marlene Fresco una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) focalizzata sui malati di Parkinson”.
Sono durissime le critiche del Comitato della Valle di Cintoia sui progetti edilizi proposti dalla Fondazione Fresco. Critiche che arrivano dirette in palazzo comunale, a Greve in Chianti.
“La superficie edificata della ex filanda – prosegue il Comitato – ammonta a 6.426 mq e viene concesso un aumento di superficie edificabile di 1.080 mq che comporteranno un aumento di volume pari a 2.700 metricubi. In una valle sottoposta a Vincolo per Decreto ove i regolamenti non permettono ai residenti nessun aumento di volume e rendono molto difficili minime modifiche architettoniche, quanto sopra fa sorgere alcune perplessità ai suddetti residenti”.
“Sempre a Cintoia – aggiungono – in posizione dominante, fu costruito negli anni ’60 del secolo scorso dalla proprietà Fattoria di Cintoia un capanno agricolo con funzione di deposito di fieno nell’epoca in cui il proprietario, signor Giosuè Calamai, aveva trasformato la valle in pascolo per bovini. La superficie coperta di detto manufatto è di 973 mq con un volume di 2.436 metri cubi”.
“Sempre la suddetta Fondazione – rimarcano – ha progettato di costruire in questo sito un albergo che prevede una superficie doppia dell’attuale capannone ed un volume complessivo di 9.663 metricubi contro i succitati 2.436 attuali. Il progetto dell’albergo prevede 30 camere, più i servizi connessi, distribuiti su tre piani. Si tenga presente che nella valle le costruzioni esistenti sono al massimo di due piani”.
“La Fondazione Paolo e Marlene Fresco – sono ancora parole del comitato – da alcuni anni è proprietaria di tutta la valle comprese numerose case. Il tutto, i 700 ettari e le case, in stato di totale abbandono: le case stanno crollando e la terra, compreso il bosco, è totalmente improduttiva e abbandonata anche al rischio di possibili incendi”.
“Sostiene l’architetto Renzo Piano – sottolineano – che anziché realizzare nuove costruzioni, che consumano terreno libero e lo coprono di cemento con i danni che ne conseguono, occorre recuperare le costruzioni esistenti e non utilizzate adattandole ai fini del progetto”.
“A cosa serve – domandano dal comitato – un albergo di nuova moderna costruzione quando per accogliere ed ospitare turisti o parenti dei ricoverati nella RSA si possono usare le case abbandonate di proprietà sempre della Fondazione?”.
“Perché – chiedono ancora – non realizzare un “albergo diffuso”, ossia utilizzando le case attualmente abbandonate?”.
E ancora: “Come attrattiva turistica sarebbe meglio una ricettività personalizzata in abitazioni tipiche o una costruzione banale di tre piani?”.
“Il capanno agricolo attuale – suggeriscono -potrebbe essere il punto di accoglienza, ricevimento, per poi accompagnare gli ospiti al loro alloggio; inoltre potrebbe essere il centro di servizi utili agli ospiti e, al piano interrato, localizzare il parcheggio per i veicoli”.
“Come in altri casi analoghi – puntualizzano – l’ospite verrebbe ricevuto e lascerebbe la propria vettura nel parcheggio coperto; piccole vetture elettriche, con autista, porterebbero ospiti e bagagli a destinazione; ciò, ovviamente, compatibilmente con la distanza dell’alloggio dalla struttura di ricevimento”.
“Un esempio – evidenziano – A Moncalvo, provincia di Asti, la famiglia di imprenditori piemontesi Denegri ha acquisito la proprietà di un ex monastero dove ha avviato una importante scuola di danza e gli alloggi, anche di turisti, sono sparsi per la campagna serviti da piccoli veicoli elettrici. Si sono ben guardati dal costruire un albergo. La struttura si chiama Orsolina 28 e non ha assolutamente sconvolto il territorio”.
“Questa di Cintoia – dicono ancora – utilizzando le case esistenti, potrebbe essere una forma di albergo diffuso totalmene integrato nel territorio, funzionale, tipico, confortevole e senza consumare suolo, al contrario del progetto che è stato proposto che, oltre ad essere invasivo, è più adatto al gusto di palazzinari propensi alla speculazione che non al nostro territorio”.
“Qualora si realizzasse il progetto dell’albergo di tre piani – concludono – sorge spontanea la domanda: che destinazione avrebbero le case abbandonate? I 700 ettari, tra campi e bosco incolti, come sarebbero utilizzati? Tornerebbero a produrre frutti della terra o rimarrebbero in attesa di ulteriore cemento?”.
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