GREVE IN CHIANTI-SAN CASCIANO – Chissà quante storie, vissute nei tristi giorni della Seconda guerra mondiale nelle nostre campagne, non sono state ancora raccontate. E quante saranno andate perse perché nessuno si è sentito di raccontarle: per pudore o semplicemente per la paura di non essere creduto.
Questo 25 aprile 2019 però c’è chi ha trovato il coraggio di raccontarcela, settantaquattro anni dopo. Ma poco importa il tempo trascorso, perché chi l’ha raccontata ha pianto, quasi come fosse una personale Liberazione.
E’ Marco Duchi, persona conosciuta essendo stato impiegato al Comune di San Casciano e attivo nel circolo Arci, portando avanti iniziative importanti nell’ambito dello sport, come il podismo ma in particolare la pallavolo. Lo abbiamo incontrato nella sua casa, dove abita con il fratello.
"Ci sono momenti – ci racconta – in cui ripassando la propria vita la si vede come una moviola; si fa un bilancio delle cose passate, rimaste impresse nella mente. Così adesso è arrivato il momento e la voglia di raccontare un fatto della mia famiglia che sono in pochi a conoscere. Quasi tutti quelli che lo sapevano non ci sono più. Ecco come sono nato antifascista ancora prima di esserlo".
Se dovesse dare un titolo a questa storia?
"Luglio 1944, il miracolo di Greve”.
LUGLIO 1944 – Foto di gruppo a Greve in Chianti
Tutto si svolge dunque a Greve in Chianti?
"Sì, esattamente dopo le 14 del 20 luglio 1944. Siamo in località San Francesco, quartiere di Greve lungo la strada che porta al Castello di Montefioralle, lì c’era la casa dei miei nonni materni. Mio padre Orazio Duchi, sfollato da San Casciano, era andato a Greve nella casa di quella che era la sua fidanzata, Bruna Ciuffi, la mia mamma. Con loro c’erano mia zia Emilia Duchi e mia nonna paterna Pia Calamandrei. Due miei zii, Bruno Duchi e Remo Nuti (quest’ultimo è stato vicesindaco di San Casciano), erano stati presi prigionieri dei tedeschi e portati in Germania".
Ci racconti quella giornata.
"Nel pomeriggio ci fu un’incursione di tedeschi, stavano facendo un rastrellamento per catturare e portare in Germania gli uomini. Quando i miei sentirono arrivare i tedeschi, mio padre, mia madre e mia zia salirono di corsa all’ultimo piano della casa. In una stanza era stato ricavato un armadio a muro come nascondiglio, tanto che una volta chiusi dentro era impossibile distinguerlo. Mia nonna materna, Amelia, rimase invece insieme al marito Fortunato, postino di Greve, nella cucina. Mitra spianati le SS tedesche entrarono in cucina senza tanti complimenti, erano in quattro e con loro anche un cane lupo. Subito fecero il nome di mio padre Orazio, sicuramente erano stati mandati da dei fascisti del posto dopo una spiata, tanto che mia nonna Amelia cominciò a gridare che in casa non c’era nessun altro".
Fu creduta?
"Figuriamoci! Due tedeschi rimasero al piano terra, mentre gli altri due salirono al piano superiore, fino alle camere. In quella di sinistra si trovava la camera dei nonni, e quella a destra era la camera per gli ospiti, dove c’era il nascondiglio. Orazio, Bruna ed Emilia, da una piccolissima fessura, seguivano i movimenti dei tedeschi nella stanza. Se solo qualcuno avesse avuto un colpo di tosse o fatto un minimo rumore sarebbe stata la fine, Orazio sarebbe stato preso e portato in Germania, mentre probabilmente mia madre e mia zia, potevano essere violentate e uccise. Solamente a pensarci mi prende l’angoscia ancora oggi".
E invece grazie a quel rifugio si salvarono.
"Quel giorno successe un miracolo: il caso volle che il tedesco con il cane lupo rimanesse al piano terra, sicuramente se lo avessero portato nella camera il cane avrebbe fiutato la presenza delle persone nascoste e io non sarei mai nato! Così i tedeschi stizziti lasciarono la casa".
Sono stati suo padre e sua madre a raccontarle questa storia a lieto fine?
"A dire il vero non hanno mai voluto raccontare, salvo a me e a pochissime persone di famiglia, questo fatto. Ricordo quelle rare volte in cui l’hanno fatto: nei loro volti si percepiva la paura e il disagio, vivendolo come se fosse successo il giorno prima".
Invece oggi?
"Oggi che i miei genitori, così come quelli che sapevano di questa storia e non l’hanno mai voluta raccontare, non ci sono più, ho ritenuto giusto che quanto avvenuto quel giorno a Greve si sapesse, ed è grazie a quello che definisco “Il miracolo di Greve” che io sono nato. Naturalmente antifascista per tutta la vita!".
Una storia semplice, come tantissime di quei giorni anche nel nostro territorio: senza atti di eroismo. Che grazie a Marco Duchi, che ha trovato la forza di raccontarla e farla conoscere, rientra pienamente nei principi per cui si festeggia la festa della Liberazione.
di Antonio Taddei
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