IMPRUNETA – La pandemia globale da Covid-19 non ha risparmiato nemmeno una piccola isola città-stato nel sud est asiatico: stiamo parlando di Singapore.
Ce lo racconta Niccolò Ferrazzani, imprunetino, che da sei mesi vive e lavora come chef al Mandarin Oriental di Singapore.
“L’emergenza Covid-19 qua è iniziata prima dell’Italia – racconta – a inizio gennaio avevamo già registrato dei casi. Subitoil governo ha messo delle restrizioni, consigliando di indossare la mascherina, di rispettare il metro di distanza, evitare contatti tra le persone. Anche i negozi i ristoranti hanno immediatamente messo la segnaletica nei loro locali per distanziare persone”.
“Inizialmente – ricorda – mascherine e gel per le mani sono andati subito a ruba, erano introvabili, dopo un paio di settimane la situazione si è calmata e si trovano anche tutt’ora, anche nei supermercati”.
Grazie a queste misure il governo è riuscito a bloccare la prima ondata di contagi. Ma poi, riprende Niccolò, “nell’ultimo mese abbiamo registrato altri casi, tutti importati specialmente dalla Malesia: ci sono infatti molti pendolari che fanno Malesia-Singapore per lavoro e che hanno riportato nuovi contagiati sull’isola”.
“Da pochi giorni – ci dice – a causa dell’incremento dei contagiati, circa 1.300, e di 6 deceduti, il governo ha attuato un lockdown parziale fino al 4 maggio: i ristoranti possono fare solo delivery, le uniche attività aperte sono quelle di prima necessità. Hanno inoltre bloccato molti voli, tra cui quelli in entrata e uscita verso la Malesia. Ancora si può uscire di casa, facendo attenzione ad evitare assembramenti di persone. Nonostante non sia stato imposto, per strada non c’è nessuno e i pochi che girano, portano la mascherina”.
“Qui sono tutti molto organizzati – ci spiega – non ci sono state razzie ai supermercati o cose simili. Inoltre, sono le stesse aziende che prendono precauzioni: se qualche dipendente è stato fuori dal Paese, appena torna deve rimanere in casa per dieci giorni, per evitare una possibile diffusione del virus. Non sono né ferie né cassa integrazione, solo precauzione”.
“Per quanto riguarda il mio lavoro – ci racconta ancora Niccolò – già da fine febbraio, ogni volta che entravamo a lavoro ci misuravano la temperatura, prima una volta al giorno, poi due. Più che passava il tempo e più che adottavamo tutti gli accorgimenti necessari: la distanza tra i tavoli, il numero massimo di 10 persone per tavolo, fino ad arrivare a chiudere il locale e fare prima take away e delivery, e poi solo delivery”.
“Adesso – dice ancora – per i pochi che ancora lavorano, il governo ha dato un limite massimo di persone che possono lavorare in ristoranti, hotel o qualsiasi altra forma di attività. Ci daranno un pass che può permetterci di andare lavoro ed accedere alla struttura: se sei non hai il pass non puoi entrare”.
“Il Paese lavora molto con il turismo – riprende – che in questo ultimo periodo è calato molto e ha influito negativamente anche su di noi, tanto da ridurci lo stipendio da qualche tempo. Attualmente io sono in ferie forzate e la mia preoccupazione riguarda il lavoro: sembrerebbe infatti che gli aiuti stanziati dal governo saranno limitati ai locali e non a chi, come me, lavora qua con il visto. Tuttavia, lavorando per una grande azienda internazionale, spero, e penso, che ci aiuteranno loro”.
“Nonostante ciò io sono abbastanza tranquillo – conclude – Esco poco e quando lo faccio porto la mascherina da febbraio. Per spiegare quanto sono organizzati qui, vi dico solo una cosa: nel condominio dove abito io, hanno da subito installato dei dispenser di gel igienizzante da utilizzare prima di prendere l’ascensore e dopo averlo fatto, per evitare la diffusione del virus selezionando il piano in ascensore!”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA