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venerdì 26 Aprile 2024
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    Il dopoguerra, le famiglie contadine, la miseria: “Il Natale di un bambino… di ottant’anni”

    "Di questi tempi c'era da tirare il collo al cappone per il Natale e da lavorare il maiale per la Befana. Allora la temperatura era più fredda, gelava e veniva la neve..."

    In questo periodo di Pandemia dove l’aria rimbomba di invocazioni al Natale consumistico mi torna alla mente come si aspettava l’Evento nella nostra infanzia.

    Innanzi tutto eravamo nell’immediato dopoguerra e c’erano ancora tanti giovani assenti, sia morti che ancora prigionieri.

    Le famiglie contadine ancora numerose con tanti ragazzi da accontentare e pochi soldi da spendere.

    Per quanto riguardava i residenti in paese, c’erano i pochi privilegiati con le “botteghe” e  molti “pigionali” col libretto della spesa che saldavano il bottegaio di alimentari quando avevano i soldi.

    I contadini bene o male mangiavano; di questi tempi c’era da tirare il collo al cappone per il Natale e da lavorare il maiale per la Befana. Allora la temperatura era più fredda, gelava e veniva la neve intorno la befana che ci stava un paio di settimane.

    I contadini se non avevano raccolto tutte le olive le dovevano raccattare per terra dopo cotte dal gelo e facendo un pessimo olio, che consumavano loro e vendendo quello fatto prima.

    La festa era tutta religiosa e si sentiva nell’aria da metà mese con lo scampanio invitante il popolo alla “novena ” preparatoria alla celebrazione del Natale.

    Ancora non c’era la TV e la socializzazione era ristretta ma calorosa in quanto alla sera c’erano le veglie nelle case contadine e spesso passavano compagnie di bruscellanti a raccogliere omaggi e facevano uno spettacolino (ricordo uno che faceva il Dottore e per misurare la febbre tirò fuori il metro!).

    Gli omaggi consistevano in fiaschi di vino, uova, qualche forma di Pecorino ma pochissimi soldi perché “un ce n’èra”.

    Quando aprirono i primi Circoli i grandi giocavano a carte e la settimana prima di Natale giocavano il panforte buttandolo su un tavolo a una certa distanza, vinceva colui che più si avvicinava all’estremità, ma non doveva farlo cadere… .

    A mezzanotte c’era la Messa con la “nascita di Gesù bambino” e il saluto col bacio alla statuina nel cesto.

    Il giorno di Natale la massaia tirava fuori tutta la sua arte culinaria e sul focolare metteva il pentolone con mezzo cappone e il “collo ripieno” per il brodo e  faceva  i crostini. 

    In un tegame a parte metteva l’altra metà con il sugo che poi arricchiva coi “carducci” (getti della pianta di  carciofo). Il “dessert” era fatto da una torta casalinga, cavallucci, panforte e vinsanto.

    A noi ragazzi invece davano il “vin dolce” (mosto d’uva filtrato e non fermentato). La sera c’era il “Vespro con la  predica”, e così si passava al Santo Stefano, che alla pieve di Campoli era una festa importante in quanto Patrono, e quel giorno toccava ai parenti essere ospitati.

    Anche quel giorno era un evento perché qualcuno ci portava un regalino. Le settimane bianche l’avevano da inventare… .

    Ma le pandemie c’erano anche allora: l’Asiatica che mise a letto mezza Italia….

    Roberto Borghi

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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