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lunedì 10 Febbraio 2025
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    Bruna Zecchi, c’è un’altra centenaria a San Casciano (che non ha mai dimenticato il rumore della guerra)

    Grande festa nella sala della Compagnia della chiesa di Santa Cecilia a Decimo per festeggiare i cento anni della sancascianese che ha tagliato il secolo di vita

    SAN CASCIANO – Ricama e legge senza occhiali, mangia di tutto con gusto, come faceva quando era ragazza, fino a concedersi quotidianamente un goccio di vino.

    Ama camminare e cucinare secondo le ricette di famiglia e, come lei stessa rivela, “continua a prendere la vita per il verso giusto”.

    Bruna Zecchi sfoggia e custodisce questa “ricetta” del vivere bene e a lungo da un secolo.

    Con lo sguardo disincantato di una donna piena di energia e forza d’animo, nonna di quattro nipoti e sette bisnipoti, che alle difficoltà della vita ha fatto fronte con coraggio e capacità di adattamento.

    Un segreto che si rispecchia nei principi della tradizione semplice, pragmatica, tipica della cultura contadina chiantigiana e che, tra le colline di San Casciano, stupisce più del solito per l’incredibile forma fisica e mentale di chi lo conserva gelosamente.

    Occhi neri, capelli folti e abili mani segnate dal lavoro: che hanno respirato e toccato i profumi e i sapori della terra; che hanno imparato a cucire abiti e manufatti sartoriali, che hanno coltivato passioni con l’ago e il filo sperimentandosi in tutte le tecniche del ricamo, compreso il non facile Punto Tavarnelle, appreso peraltro in età avanzata.

    E’ stata una festa piena di affetto e allegria, quella organizzata dai figli Marta e Mario nella sala della Compagnia della chiesa di Santa Cecilia a Decimo per celebrare i cento anni della sancascianese.

    In tantissimi, tra parenti, amici, hanno scelto di rivolgere un caloroso saluto e spegnere le candeline insieme ad una delle cittadine più longeve del Chianti.

    Anche il sindaco Roberto Ciappi non ha rinunciato al piacere di dedicare a lei e alla famiglia un augurio speciale, accompagnato da un pensiero floreale.

    “I cento anni di Bruna, portati in maniera così straordinaria – ha dichiarato il sindaco – con l’innata grazia, il rigore gentile di una donna piena di dignità che ha saputo guardare sempre avanti, ispirata dalla filosofia del vivere responsabilmente, affrontando la vita giorno dopo giorno, sono un monumento alla forza e alla concretezza della cultura contadina”.

    “Un’incredibile testimonianza di memoria viva e longevità – ha aggiunto – che sottolinea la forza delle nostre nonne, di come nei tempi più bui, come il secondo conflitto mondiale, siano riuscite a resistere, a rimboccarsi le maniche e superare i tanti ostacoli che soprattutto negli anni della ricostruzione rendevano incerta e fragile la sopravvivenza stessa”.

    Bruna Zecchi, classe 1925, è nata a Firenze ma ha sempre abitato a San Casciano. Prima, con la famiglia nella località di Quattro Strade, nei pressi di Mercatale, poi da sposata a Montepaldi.

    Ha conosciuto il marito Carlo Margheri negli anni in cui infuriava la guerra, tra il ’42 e il ’44. Carlo era un partigiano e lei, ventenne, incrociò il destino del futuro marito in uno dei nascondigli dove si rifugiava per scampare ai bombardamenti tedeschi. Momenti tragici che tornano nitidi alla mente di Bruna.

    “Le immagini che ricordo più delle altre sono due, una la “sento” ancora, più che vederla – racconta – ed è il rumore della guerra, il frastuono delle granate, il boato dei cannoneggiamenti, il fischio assordante degli ordigni che passavano sopra la nostra testa, il silenzio della violenza e della morte”.

    “L’altra – dice ancora – è il proiettile di una mitragliatrice che si conficcò in una parete della cantina dove eravamo sfollati, e che ci lasciò miracolosamente illesi. Ci sono toccate tante brutte cose che non ci meritavamo, eppure siamo qui a raccontarle. Quello che mi auguro è che non “tocchi” nulla di tutto questo ai miei nipoti”.

    “Il percorso di Bruna mi ricorda – ha concluso il sindaco Ciappi – l’antica arte orientale del Kintsugi, come i giapponesi riparano i vasi rotti utilizzando l’oro per saldare le crepe, così la nostra cara centenaria ha saputo trasformare le “ferite” della guerra, la paura, la povertà, l’angoscia, in una fonte inesauribile di umiltà e forza interiore”.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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