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lunedì 10 Febbraio 2025
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    Da Cerbaia all’Australia, i due anni e mezzo (e i 45mila km in moto) di Gianluca Alessi: il racconto

    Il sogno vissuto sulla sua Yamaha Tenerè 660 del '94. Istanbul, l'Asia, l'Australia fra viaggio, lavoro e amore. Il ritorno a casa a sorpresa, pronto a ripartire. Una splendida chiacchierata

    SAN CASCIANO –  “Mi sento addosso una serenità invidiabile. Sono tornato a Cerbaia dopo due anni e mezzo, uno e mezzo effettivo di viaggio (con la moto e altri mezzi), e un anno di lavoro. E… sì, devo dire che sono davvero sereno”.

    E’ bella, affascinante, coinvolgente la chiacchierata che facciamo nel nostro ufficio di redazione, nel cuore di San Casciano, con Gianluca Alessi.

    Il 27enne (li compirà fra qualche giorno) di Cerbaia, partito in moto due anni e mezzo fa, è tornato a casa dopo 45mila km. Lo ha fatto con una grande sorpresa a familiari e amici, ed è pronto a ripartire di nuovo.

    Ma intanto è qua, ed è venuto a trovare anche Il Gazzettino del Chianti, che in questi anni lo ha seguito passo passo, con grande affetto.

    Riavvolgiamo un po’ il nastro Gianluca. Domenica 5 giugno 2022 parti con la tua moto da piazza del Monumento, a Cerbaia…

    “La prima parte è stata da Cerbaia a Mumbai. E poi da Mumbai, visto che alcuni confini terrestri non permettevano di passare, ho spedito la moto in Malesia via mare, a inizio 2023. A quel punto ho finito i soldi che avevo messo da parte: ho lasciato la moto da un amico, a Kuala Lumpur, e sono andato in Australia a lavorare. Nel frattempo ho trovato anche… l’amore: una ragazza di Verona (Eva) con cui ho vissuto, viaggiato insieme, soprattutto in Australia. Dopo il secondo lavoro sono tornato in Malesia, a prendere la moto, per fare tutto il giro del sud est asiatico: Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam, Malesia, sud est della Cina. Poi l’ho ri-fermata a Kuala Lumpur, avevo finito di nuovo i soldi, e sono tornato in Australia per rimettermi a lavorare”.

    Il giro del mondo… di Gianluca…

    Moto, viaggio, lavoro. Soffermiamoci un attimo sulla parte lavorativa…

    “Io di mestiere faccio il fabbro, me l’ha tramandato il mio babbo. Quando ho finito i soldi ho deciso di andare a lavorare in Australia, facendo tappa in tre città, trovando sempre facilmente occupazione e finanziandomi. A Perth ho lavorato nella fabbricazione di pezzi di acciaio dolce; a Darwin facevo di tutto, dalle riparazioni dei rimorchi a trattori per le miniere, allestimenti per i camper; ad Adelaide lavoravo unicamente l’acciaio inox, cucine, ringhiere, pezzi artigianali. Ho scelto di lavorare in Australia perché con sei-sette mesi di lavoro lì ho viaggiato per i dieci mesi seguenti”.

    E alla fine del 2024, due anni e mezzo dopo, sei apparso a Cerbaia…

    “Sono tornato a casa a sorpresa, lo sapevano solo la mia ragazza e un mio amico. Negli ultimi mesi diciamo che ho raccontato un po’ di bugie… a fin di bene. Il 29 dicembre sono apparso a casa dei miei, due giorni dopo dai miei amici. I primi dieci giorni sono stati pieni di incontri, incredulità. Anche i miei non ci credevano: è capitato spesso che mi abbiano chiesto di tornare, ed io rimanevo sul vago. Me lo chiedevano sempre di fare un salto e alla fine… l’ho fatto senza dirglielo. E’ stato divertente poi incontrare tante persone a Cerbaia, anche un po’ avanti negli anni, che mi chiedevano, si complimentavano magari per una foto, perché mi avevano seguito sui social”.

    Gianluca al lavoro in Australia

    Perché Facebook e Instagram sono stati un po’ il tuo diario di viaggio, giusto?

    “Sì, ma senza esagerare. Per me al centro di tutto c’è sempre stato il viaggio, le emozioni che era in grado di darmi, le persone che mi ha fatto incontrare. Avevo sempre paura di perdermi qualcosa se mi fossi dedicato troppo al resto, quindi quando ero in viaggio… viaggiavo. Poi, certo, amo scattare foto, e ogni tanto mi sono soffermato per condividerle con chi ha avuto piacere di guardarle e leggersi un po’ di racconti”.

    Insomma, hai coronato un sogno. E adesso?

    “Il mio obbiettivo adesso è tornare in Australia, a lavorare e viaggiare: ottenere là un visto da residente nel giro di due anni. I miei genitori, la mia famiglia (ho una sorella maggiore), se ne sono fatti una ragione, è il mio percorso di vita. Anzi, per farglielo capire meglio… ho regalato a mia mamma e al mio babbo un viaggio insieme, zaino in spalla, che faremo fra qualche mese in Sri Lanka!”.

    E dove vorresti andare nella tua prossima fase di viaggi?

    “Ho visto una buona parte dell’Asia e vorrei quindi visitare Australia, Nuova Zelanda, Tasmania. Un po’, magari, insieme alla mia ragazza, un po’ da solo, soprattutto dove ci sono lunghe distanze da coprire in moto. Vivendo il viaggio come l’ho vissuto finora, come un qualcosa di mio: con le mie forze, senza sponsor, ci sono stati momenti difficili, in cui anche la mia famiglia mi ha aiutato, ma ho capito che si può fare. E’ la pura passione del viaggiare, condividendola con chi trovo. Lungo la strada ho conosciuto tantissime persone, viaggiatori: in bici, chi a piedi…”.

    Ti sei mai sentito davvero il pericolo?

    “Idealmente no: ho avuto una esperienza forte con i talebani in Pakistan, una scorta armata (sempre in Pakistan) in zone poco raccomandabili, ho dormito in tenda in mezzo ai boschi, lottato… con il traffico indiano. Ma non diventava mai qualcosa che mi bloccava, la consideravo semplicemente una parte del percorso. La lingua? Nella maggior parte dei Paesi si parla correntemente inglese. Certo, spingendosi al di là delle città vai verso popoli contadini, pastori, non è facile comprendersi: ho visto la parte islamica del sub continente indiano, molto ospitale e aperta, mentre nel sud est asiatico sono più timidi, distaccati. E poi… l’India non è solo India, l’Asia non è tutta uguale”.

    C’è qualcosa che ti ha dato fastidio in questi due anni e mezzo?

    “Il mancato rispetto della natura che c’è in alcuni Paesi, che alla fine è rispetto per il prossimo e l’ambiente in cui viviamo. E’ una mentalità che ho sempre fatto fatica a capire e accettare. Anche perché ho visto Paesi come la Turchia, l’Iran, in cui alla gente piace campeggiare, vivere all’aperto, e in cui il rispetto c’era: insomma si può fare. Altrove, invece, ho visto ben altro”.

    Sul cibo? Ti senti uguale a quando sei partito?

    “Adesso mangio veramente tutto, se avevo qualche pregiudizio sul cibo me lo sono tolto. Riso tutti i giorni, noodles, piccante indiano, condizioni igieniche… discutibili. Sono partito con questa apertura mentale e la sto mantenendo, il mio corpo si è adattato bene. Avendo tanto tempo, non le due settimane di vacanza e stop, si è adeguato passo passo. Ho avuto solo un intoppo un po’ più importante in Cina, dove ero con la mia ragazza: ma la loro organizzazione ospedaliera (non sono stato ricoverato, mi hanno solo fatto esami e dato poi i farmaci) è un qualcosa di incredibile”.

    Ti facciamo una domanda difficile. Stampaci… tre “cartoline” di questi 45mila km.

    “Ci provo. Uno dei momenti più emozionanti è stato quando ho passato il confine fra Pakistan e India, da Paese islamico a Paese induista, un cambiamento di atteggiamento e calore, la cerimonia che fanno sul confine mi ha emozionato. Poi quando sono arrivato a Katmandu e ho visto la piazza centrale, i templi, il buddismo tibetano così pronunciato, ancora meglio di come me lo ero sempre immaginato. Ma anche il primo approccio con Istanbul mi ha colpito molto: quella città è una sorta di piccolo trailer di quello che troverai in Asia. Il primo incontro con l’Islam, con i muezzin che intonano i canti e richiamano alla preghiera…”.

    Insomma, a breve sarai di nuovo in… giro.

    “Riparto a inizio febbraio. Dove sono stato a lavorare mi hanno già detto che mi riprenderebbero volentieri, ma sono fiducioso di trovare anche altro perché l’Australia dà molte opportunità. Certo, qualche “punta” di razzismo c’è anche lì, nonostante sia un Paese multietnico. Ma c’è comunque una bella apertura mentale, specialmente verso gli europei. E specialmente se… ci si dà da fare. L’1 febbraio ho il volo per Kuala Lumpur, parto con uno scatolone di ricambi per la moto, il tempo di rimetterla a posto, e poi vedrò… . Punto sull’ottimismo e sul vivermela giorno per giorno: fare piani precisi in quella parte di mondo è sempre complicato”.

    Ma ci sarà ancora la tua moto, una sorta di appendice del tuo corpo ormai.

    “Certo, dopo 45mila km in sella alla mia Yamaha Tenerè 660 del ’94 c’è un rapporto speciale: riesci a interpretarla dal minimo rumore, risolvere un problema lungo la strada. E’, secondo me, un modo splendido di viaggiare”.

    ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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