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domenica 22 Giugno 2025
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    La Cappellina de La Romola: una storia tragica e commovente che ci arriva dal passato

    Metà del 1600, la peste infuria. Francesco Tani era venuto ad abitare qua con la sua famiglia sperando si sfuggirle, ma la malattia non risparmiò i piccoli figli...

    LA ROMOLA (SAN CASCIANO) – Venendo da Firenze e percorrendo la vecchia Volterrana per dirigersi verso La Romola, ci troviamo a percorrere un tratto di strada attraverso un bosco di pini e querce.

    Poco prima di questo piccolo borgo, fiancheggiato da un bellissimo bosco di cipressi, non si può non notare una piccola cappella come se ne trovano tante in Toscana. E alle quali non facciamo neanche più caso.

    Ma, se ci fermiamo ad osservare e ad ascoltare quello che sono capaci di dirci, quante storie hanno da raccontarci.

    Parliamo con Roberta, una delle numerose eredi di questo edificio sacro. Che ci racconta come la Cappellina abbia attraversato il tempo, vivendo momenti belli e meno belli. E come abbia tante cose da narrarci.

    “L’edificio – dice Roberta – ha, antistante la facciata, un ampio portico sorretto da pilastri grigi a colonnina. Nella facciata, si aprono due piccole finestre protette da spesse inferriate. Nel suo insieme, lo stile architettonico è lineare, sobrio, elegante e di chiara ispirazione rinascimentale. Il pavimento del portico è fatto di antichi mattoni consumati dall’usura e dal tempo che fanno pensare a quante persone vi si sono recate e fermate per una sosta o una preghiera”.

    “Nella cornice di una delle due finestre – prosegue Roberta – è inciso nella pietra “limosine per le anime sante del Purgatorio” e un’apertura nella pietra comunicante con l’interno, che permetteva di fare piccole offerte anche se la cappella era chiusa”.

    “Ci si può immaginare – aggiunge – come per i vecchi contadini e i viandanti, fosse un luogo per riposare un po’, pronunciare qualche preghiera e magari far scivolare nella piccola apertura, in suffragio delle anime dei propri morti, qualche monetina risparmiata con chissà quanti sacrifici”.

    “La Cappellina – ci dice Roberta – narra una storia tragica e lontana, eppure nei sentimenti tanto attuale e commovente. Osservando la porta vediamo che in alto, lungo la cornice di pietra, vi è inciso “Francesco Tani 1644”; e sopra vi è uno stemma nobiliare con un leone rampante ed una croce”.

    Francesco Tani – continua nel suo racconto – doveva sicuramente appartenere ad un famiglia gentilizia forse del territorio fiorentino, che, verso la metà del 1600, era venuta ad abitare nel territorio vicino alla Romola probabilmente cercando, nell’isolamento della campagna, di proteggersi da un’epidemia di peste. Ma la peste li aveva ugualmente colpiti provocando la morte di due loro piccoli figli”.

    “E il dolore – aggiunge Roberta – era stato così devastante che Francesco aveva voluto costruire questa Cappella a eterna memoria dei due fratellini, perché, per l’eternità, potessero riposare insieme. Insomma la piccola cappellina altro non è se non il gesto di un padre disperato che, con quelle quattro mura, ha voluto stringere e proteggere i suoi piccoli in un ultimo abbraccio destinato a durare al di là della morte e del tempo”.

    In tempi meno remoti, Roberta, avendo visto con i suoi occhi, ci racconta e ci tramanda come “la piccola chiesetta è stata al centro di altri avvenimenti e altre storie. Verso il 1950, fu acquisita in stato di rovina, da nuovi proprietari e restaurata. All’interno vi era una statua di gesso di Cristo morto a grandezza naturale, che giaceva sotto l’altare. Sopra l’altare spiccava l’antica immagine della Madonna col Bambino e sopra la porta un piccolo affresco ritraeva un Gesù fanciullo che aiutava il padre nella bottega di falegname, forse avevano voluto raffigurare il santo bambino perché facesse eterna compagnia ai due piccoli morti e vegliasse per sempre su di loro”.

    “Ogni tanto – prosegue – la Cappella, adorna di fiori e candele veniva aperta e, la domenica pomeriggio, le donne de La Romola vi si recavano per recitare il Rosario in onore della “Madonna della neve” a cui la chiesetta era dedicata. In quegli anni tutti gli abitanti del paese sentivano come parte delle proprie tradizioni il piccolo edificio che diveniva il centro di tre grandi feste, veri e propri avvenimenti, attese da tutti con trepidazione: la Processione del Corpus Domini; la fiera che cadeva il secondo martedì del mese di luglio; la Messa del 5 agosto”.

    Roberta ricorda come “tutti, senza eccezioni, vi partecipavano facendo risplendere il paese con luci, addobbi e profumati tappeti fatti con verdi foglie di mortella, col giallo dorato dei fiori di ginestra, col violetto delle ciocche di glicine, col rosso dei petali delle rose e dei papaveri.
    La processione, percorrendo un cammino lunghissimo e per i più anziani anche difficoltoso perché il fondo stradale era irregolare e sterrato, si snodava, fra canti e giaculatorie, fino alla Cappellina addobbata di tappeti di fiori e festoni colorati”.

    “Anche la fiera era una festa grande – ci dice – e quel giorno le persone non lavoravano, arrivava in paese qualche venditore ambulante e, per la gioia dei più piccoli, nella piazzetta c’era sempre un piccolo banco di dolciumi ed i più apprezzati erano i durissimi e colorati “chicchi di menta”.

    Le donne si davano un gran daffare in cucina e gli uomini usavano mettere in mostra gli animali della propria stalla, puliti, strigliati e abbelliti.

    Gli venivano messe delle strane museruole di fil di ferro e, con una fune erano condotti alla cappella e legati ai cipressi. Qui si parlava dei campi, dei propri animali e, soprattutto, si concludevano affari.

    Roberta con amarezza ci racconta anche come “fin verso la metà degli anni Sessanta la cappella fu rispettata e sentita come patrimonio del paese stesso, poi iniziarono continui atti di vandalismo, che purtroppo, ciclicamente, proseguono tutt’oggi. I muri furono rovinati con scritte di ogni genere, la porta fu scardinata ed aperta, fu rubato un grande antico quadro raffigurante San Domenico in preghiera e, nonostante si cercasse continuamente di riparare i danni, la chiesetta fu poi profanata altre volte”.

    “Il Cristo giacente sotto l’altare – spiega – fu ridotto in pezzi e gettato nel bosco, l’antica immagine della Madonna dipinta sopra l’altare fu divelta da muro e distrutta; alla fine anche il parroco ritenne opportuno, e con grande tristezza, sconsacrare la Cappellina. Oggi è completamente vuota”.

    “Negli anni Sessanta – dice Roberta con un sorriso triste – di nuovo risistemata alla meglio, visse una nuova stagione che però niente aveva più a che fare con la sua storia e la sua essenza: divenne il luogo di ritrovo per la famosa festa del primo maggio, una delle prime sagre toscane, una festa di giochi e di grigliate all’aria aperta e non so se di questo Francesco Tani sarebbe stato contento. Poi anche questa stagione è passata e di nuovo è caduto il silenzio ed un triste abbandono attorno alla vecchia Cappellina ormai trasformata in un guscio vuoto e, purtroppo, ancora oggetto, all’esterno, di incontrollabili atti di vandalismo”.

    Ora, soltanto una volta all’anno: “Nella domenica di agosto più vicina alla festa della Madonna della neve – conclude Roberta – il parroco celebra una Messa nello spazio antistante la vecchia Cappella rovinata, più che dal tempo, dalla continua mancanza di rispetto dell’uomo”.

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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